Regia di Nikolaj Arcel vedi scheda film
Eventi storici, melodramma e filosofia s’intrecciano armoniosamente in questa pregiata e accurata pellicola nordeuropea, realizzata con l’occhio rivolto a Hollywood. Candidato all’Oscar per il miglior film straniero nel 2013 (andato secondo me giustamente ad “Amour” di Michael Haneke), “Royal affair” non perde mai di vista il necessario gradimento da parte della critica e del pubblico d’oltreoceano. Non è un difetto, anzi, credo si poter dire che il cinema di questo genere si fa sempre più raro, ma funziona sempre. Grande affresco storico, assenza di effetti speciali tesi solo a stupire, intensa storia d’amore e interpretazione di alto livello ne fanno un’opera che si assapora come un ottimo vino d’annata, godibile per ogni palato. Ha inoltre il merito di illustrare adeguatamente il dibattito esploso con l’irrompere dell’Illuminismo nell’Europa del XVIII secolo, quel conflitto ideologico, politico e sociale che sfocerà di lì a poco nella Rivoluzione Francese del 1789. Il debole e infantile re di danimarca Christian VII si trovò suo malgrado ad essere uno di quei cosiddetti sovrani illuminati che, influenzati o addirittura manovrati dalle più belle menti del loro tempo, tentarono di introdurre riforme e cambiamenti di stampo progressista a tempo ormai scaduto, come la Storia di lì a poco dimostrerà. Deus ex machina della vicenda è Johann Struensee, medico tedesco illuminista, magnificamente interpretato da Mads Mikkelsen, da me già apprezzato nel bellissimo “Il sospetto” (2012) di Thomas Vinterberg. Una vera maschera d’attore che non si dimentica. Mi ricorda la fisionomia scolpita e penetrante di Jack Palance. Il film racconta con notevole introspezione il rapporto che viene a stabilirsi tra Johann Struensee e Christian VII, tra il dominatore e il soggiogato, una relazione non fondata sul dialogo, ma su un’ambigua e reciproca dipendenza. Non può che finir male. La storia d’amore tra il medico tedesco e la regina di origine inglese Caroline Mathilde è invece trattata in maniera piuttosto classica e superficiale, anche a causa della recitazione piatta e scontata della pur volenterosa Alicia Vikander, che non regge il confronto con il suo assai più carismatico co-protagonista. Efficacissimo, al contrario, Mikkel Boe Folsgaardnel ruolo del sovrano danese, un re più o meno schizofrenico ma volenteroso, superficiale quanto tormentato. L’attore riesce ad esprimere in modo sorprendente la sua duplice e spiazzante personalità. Non a caso, viene premiato come migliore attore alla Berlinale del 2012. A ben vedere, non mi vengono in mente molti film che abbiano avuto l’Illuminismo come tema centrale della narrazione come in questo caso ed è senza dubbio un suo pregio. Fotografia, costumi e arredi aggiungono al tutto un impatto estetico di notevole efficacia. Non molto tempo fa, si sarebbe parlato di “filmone”. Tutto sommato, è vero.
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