Regia di George Sluizer vedi scheda film
Fantasmi… (per dirla con la stessa inclinazione d'inquietudine e stupore di Méliès-Kingsley in apertura a "Hugo").
Forse se George Sluizer avesse potuto presentarci il suo "Dark Blood" così com'era stato originariamente pensato vent'anni fa, non avrebbe toccato sì tanto le corde dell'animo. Ma la storia non è fatta di se o di ma, e il destino ha riservato all'ultimo incompleto racconto country con River Phoenix quest'inedita contestualità, e come tale noi lo accoglieremo.
Il film ci mostra in apertura una foto di scena con il Sluizer e Phoenix abbracciati. La ricorrente voce narrante del registra introduce brevemente il film e gli eventi che lo hanno caratterizzato. Ci augura buona visione e poi esplode. I fotoni che rimbalzarono su River Phoenix nel 1993 ululano euforici alla luna, incontenibilmente felici di liberarsi su schermo dopo due decenni di prigionia su celluloide. Eppure la qualità dell'immagine, la fotografia e l'audio sembrano molto più recenti e puliti di un film degli anni '90, e allo stesso tempo "Dark Blood" sembra essere un film più antico del cinematografo stesso. Gli spettatori (soprattutto quelli come me che hanno potuto assistere all'anteprima mondiale al festival di Berlino) si riscoprono novelli Indiana Jones, guidati dalla mano cauta e rassicurante del regista lungo i paesaggi extraterrestri del deserto dello Utah alla scoperta di un film infestato da una dolce maledizione che resuscita e ringiovanisce (nel caso di Jonathan Pryce).
Complice l'ambientazione a-temporale che mescola cowboy e star di Hollywood in un non-luogo sospeso "tra gli spazi" ad un salto dal cielo stellato, la visione di "Dark Blood" è un'esperienza unica nel suo genere, diversa da "Parnassus", dai corti di Chaplin che ogni tanto saltan fuori e da tutte le altre mummie di Bazin.
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