Regia di Morgan Spurlock vedi scheda film
Il comic-con e i suoi derivati, anche italici: aggirarsi in cerca di disegni, tavole, fumetti o gadget, essere fan o non esserlo. esistono tanti modi di vivere la manifestazione dedicata - e poi evolutasi - ai fumetti, e chi scrive, mai fan e mai accanita lettrice, ha fatto parte per due volte di quel pubblico distratto e curioso, abbacinato dalle estrose invenzioni visive e da quello sprezzo del pericolo incarnato dalle più bizzarre creature antropomorfe mai viste, i cosplayer. Nelle interviste ai suoi personaggi, immortalati su fondale bianco e cartoonisticamente deformati in una non troppo originale intuizione di raccordo, Spurlock si concentra su quell'universo prevalentemente adulto che ha scoperto la passione per un mondo parallelo in tenerissima età. Compaiono coppie di innamorati già telefilmici, giovani ma non troppo aspiranti disegnatori (l'anello di raccordo tra il fan e l'addetto ai lavori), aspiranti e anche talentuosi designer di costumi, tanto appassionati e decisi da lavorare senza lavorare, famiglie in formazione, rivenditori ormai anziani ma percossi da un sempiterno "sacro fuoco". Ma, soprattutto, compaiono quegli ex fan-atici ormai entrati in quel dorato mondo, talvolta non proprio legato al fumetto e al fantasy: un redivivo Stan Lee, autori di serie culto, un entusiasta Eli Roth e un sempre più enorme e strilizzato Kevin Smith. Spurlock racconta i 4 giorni della convention di San Diego e il deformarsi della città attorno alle sue strutture avveniristiche, addentrandosi nei preparativi che la "gente comune" come la designer Holly, a capo di un gruppo che si esibirà in una "masquerade" con costumi dalle complicate caratteristiche elettroniche, compie per recarsi all'incontro. Tra i colori e la festa, tracce di umiliazione, di stanchezza, di situazioni al limite del ridicolo. Eppure, a differenza di quanto accadeva nella sua grottesca e calcata opera d'esordio, Spurlock non affonda mai con forza nella sua materia. I suoi personaggi somigliano a piccoli eroi, detentori del potere puerile e meraviglioso che permette di rendere l'invisibile reale, tutti parte di una sceneggiatura perfetta in cui i "famosi" commentano e stanno a guardare, con supporto amoroso. Quasi per tutti c'è un lieto fine e questo avvicina pericolosamente il documentario alla fiction, rendendolo però, paradossalmente, un'opera compiuta nella sua ingenuità. Nessun sarcasmo, nessuna sottile allusione, tracce di svogliata cattiveria annacquata da una partecipazione dolce a quella maniacalità un po' ido-latrante di cui, probabilmente, lo stesso Spurlock fa parte
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