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Late Autumn

Regia di Tae-Yong Kim vedi scheda film

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La recensione su Late Autumn

di pazuzu
8 stelle

Condannata a nove anni di reclusione per aver ucciso il marito che la picchiava, Anna, giovane immigrata cinese, sta scontando la propria pena da sette nel penitenziario di Washington quando riceve notizia della morte della madre. In virtù della sua buona condotta le viene accordato un permesso di 72 ore durante le quali recarsi a Seattle, assistere al funerale, e poi tornare. Salita su un pullman ivi diretto, assiste all'avventurosa entrata del coreano Hoon, che s'introduce in corsa nel mezzo in partenza quasi arrampicandosi sulla portiera, ma poi scopre di non avere i soldi per il biglietto e chiede proprio a lei in prestito 30 dollari consegnandole in pegno il proprio orologio.
Troppo presa a difendere la fortezza che ha eretto tra sé ed il resto del mondo, Anna gli dice di non preoccuparsi, che può tenere l'uno e gli altri. Perché quello che conta, in fondo, è mantenersi distante da tutto, per far meno male possibile a sé stessa e agli altri. Perché anche per i parenti, in realtà, è ormai nulla più che un'estranea: giunta a casa, infatti, viene accolta in maniera distaccata, senza che nessuno sia in grado di dedicarle un po' di attenzioni, laddove l'unico ad avvicinarla è il fratello per parlarle dell'eredità e portarle scartoffie da firmare; e la presenza dell'amico di lui Wang, suo ex ormai sposato e con un bimbo piccolo, non serve poi certo a farla star meglio, immaturo oggi come allora, quando con i suoi comportamenti irresponsabili aveva di fatto gettato le basi perché il matrimonio di lei finisse in tragedia.
Abbandonato con una certa fretta questo posto foriero di pessimi ricordi e nessun calore, decide di tornare alla fermata del bus, dove trova di nuovo Hoon, col quale finisce per passare un'intera giornata in giro per la città. Ma anche Hoon, dal canto suo, non ha nessuno accanto a sé: lui è un corpo in prestito, fa l'accompagnatore a chiamata per donne ricche e insoddisfatte, e una di queste, Ok-ja, lo assilla chiedendogli di scappare con lei, mentre il marito, scoperto l'inghippo, lo cerca per fargliela pagare.
Remake dell'omonimo film scomparso di Lee Man-hee del 1966, Late Autumn narra l'incrocio di due solitudini opposte, la storia dell'amore impossibile tra una donna che non riesce più ad aprirsi ed un uomo abituato a dare un prezzo ad ogni proprio gesto. Anna ed Hoon sono due disadattati che partendo da presupposti antitetici trovano nell'altro un reciproco supporto: l'avvicinamento tra loro è progressivo, umano, inevitabile, così come però inesorabile è lo scorrere del tempo, che, nonostante i sorrisi e gli approcci lievi ma decisi di lui, impedisce a lei di sentirsi libera, oltre che di esprimere, anche solo di provare delle emozioni.
Partendo dal proprio script leggero e a tratti fin troppo scarno, il regista Kim Tae-yong si sofferma sui silenzi e sulle pause affidando alle qualità degli attori protagonisti, all'evidente chimica tra i due, e alla profondità dei loro personaggi (è graziosa e sofferente l'Anna di Wei Tang quanto è sbruffone ma affabile l'Hoon di Hyun Bin), il compito di lasciar trasparire il vuoto che ognuno di essi porta dentro e di far emergere la profondità del legame che si viene ad istaurare, scegliendo come teatro degli eventi una Seattle nebbiosa piovosa malinconica e fredda che diviene ben presto un elemento cardine nell'economia del racconto garantendo un clima di apatia ed inquietudine, e delegando ad intermezzi onirici e surreali i desideri rimasti inespressi per rassegnazione o carenza di coraggio.
Imperfetto ma ambizioso, Late Autumn inciampa in qualche lungaggine nella prima parte, vantando però una seconda in avvolgente crescendo, nella quale l'esplosione/implosione dei sentimenti è resa egregiamente prima dalla scena della lite tra Hoon e Wang durante il pranzo dopo il funerale, perfetta nel suo doloroso galleggiare tra ironia e tristezza, e poi dalla lunga e struggente inquadratura finale, magnetica e disperata nel suo affidare ad uno sguardo perso e ad un saluto vuoto la sconfortante illusione del ricordo di una promessa mancata. ***½

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