Regia di Kimo Stamboel, Timo Tjahjanto vedi scheda film
Bandung, Indonesia. Adjie ha trovato un impiego dall'altra parte del mondo, in Australia, ed insieme alla moglie Astrid, incinta di otto mesi, si appresta a volare per Sydney. In viaggio verso l'aeroporto di Jakarta con gli amici Alam Eko e Jimi, si ferma al pub presso cui la sorella Ladya lavora come cameriera per salutarla e cercare di ricomporre un rapporto interrotto da anni. Ancora in collera con lui, che reputa responsabile della morte dei genitori, Ladya si lascia convincere dalla cognata ad unirsi alla comitiva per passare insieme le ultime ore prima della partenza. Appena montato in macchina e ripartito, il gruppo si imbatte però in una bella e misteriosa ragazza ferma al centro della strada con aria smarrita e tremante sotto la pioggia battente: dice di chiamarsi Maya e di esser stata derubata, e non sembra in grado di tornare a casa da sola. Impietositi dalla sua condizione e sospinti dall'entusiasmo di Eko, che in lei vede una possibile conquista, i sei decidono di darle un passaggio.
Raggiunta la destinazione, un'abitazione isolata in mezzo al bosco, Maya li esorta ad entrare per mostrargli riconoscenza e presentarli alla madre: evidentemente imbarazzati, Adjie Astrid e gli altri accettano per cortesia, ma quella che gli si para davanti una volta dentro, Dara, più che madre le sembra coetanea, dotata di pelle lucida e immacolata a sottolineare una giovinezza irreale per l'età presunta, di una voce bassa e penetrante con eloquio lento e declamatorio, di uno sguardo magnetico e ferino, e di un portamento regale e carismatico. Il suo invito a restare per la cena arriva immediato, e nessuno degli ospiti, intimoriti e turbati, trova il coraggio per opporre con forza come scusa per filar via la fretta per il volo imminente. A completare il quadro ci sono poi Adam ed Armand, i due fratelli di Maya, apparentemente molto gentile e premuroso (specie con Ladya) il primo, taciturno ed introverso l'altro, il maggiore. Mentre Adjie ed Astrid si accomodano in un'altra stanza a causa della nausea della donna (che intanto sente il bambino scalciare), gli altri siedono a tavola per mangiare: è l'inizio di una terribile notte di tortura e morte.
Macabre è il titolo internazionale dell'esordio sulla lunga distanza degli indonesiani Mo Brothers (al secolo Kimo Stamboel e Timo Tjahjanto), Rumah Dara, e riprende e sviluppa i temi già trattati nel corto Dara, girato dal duo nel 2007 con discreto successo. La traccia da cui il film muove è piuttosto semplice e di certo non brilla per originalità: c'è il solito gruppo di ragazzi, la solita casa dispersa nel nulla, la solita famiglia di pazzi intenti a segregare e far del male a chiunque gli capiti a tiro. Ma nonostante l'abbondante presenza di cliché ed una certa prevedibilità di fondo, il meccanismo alla base di Macabre sembra non risentire di usura alcuna, anzi funziona egregiamente per merito di una scrittura accorta (degli stessi Mo Brothers), di una regia attenta al particolare, e di un manipolo di attori tutto sommato affiatati e convincenti (specie le quattro donne, cui spettano di fatto i ruoli più incisivi).
L'incipit, incentrato sul tentativo di Adjie di riappacificarsi con la sorella, e la successiva lite, che vede coinvolti la stessa Ladya ed Alam, che, attratto da lei, ne prende le difese davanti ad alcuni clienti non propriamente simpatici, scorrono rapidi e già carichi di pathos, con dialoghi intensi e significativi atti a delineare con concisione ed efficacia i caratteri dei personaggi. Un preambolo necessario e brillante, dunque, che conduce tosto alla villa, teatro della mattanza, e ai suoi strani inquilini, che alle già poco accoglienti teste di cervo ornanti i muri aggiungono un po' ovunque inquietanti foto di famiglia dal sapore fin troppo antico; a soli 20 minuti dall'inizio della pellicola il livello di tensione è già buono, ma l'ulteriore scatto in avanti giunge puntuale di lì a poco, con la succitata cena e con quel che ne segue, quando i padroni di casa, gettate le poco credibili maschere accomodanti, si rivelano per ciò che sono: Dara la regina, implacabile e spietata, Maya la sua degna erede, seduttrice e malvagia, Armand l'aguzzino, sadico e truce, ed Adam la macchina da guerra, con predilezione per le fratture scomposte.
Quel che resta è un'ora abbondante di violenza e sangue, una carneficina girata con perizia, stile godibile, ed un (in)sano e cattivissimo gusto dell'orrido e del grottesco, ed esaltata dalla sferzata di humor nero rappresentata dall'arrivo dei poliziotti, quattro idioti patentati che imprimono alla vicenda il definitivo slancio verso un epilogo adrenalinico e assolutamente convincente.
Tra balestre sciabole falcetti e motoseghe, tra tacchi a spillo e matite infilati negli occhi, strangolamenti e decapitazioni, tra feti sotto vetro e ossa di neonato sul pavimento, Macabre offre uno spettacolo tutto da gustare per ogni amante dell'horror più estremo.
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