Regia di Mauro Bolognini vedi scheda film
Un frammento di vita (violenta) quotidiana dei ragazzi di vita delle borgate romane: chi sono? Morti di fame; da dove vengono? Da luoghi dimenticati da Dio; che cosa pensano della loro vita e del loro futuro? Rubare, ammazzare, giocare, andare a puttane, mentire, e non avere preoccupazioni di nessun genere, tranne quella di riuscire a procurarsi quanto necessario per vivere alla giornata. Non esiste una vera umanità in questi luoghi, perché le persone che gli abitano vengono riportate ad uno stato di fabbisogno primordiale, ricco di un attaccamento animalesco per la vita, ma anche di un'ideologia privata, e di un codice comportamentale che non ha è scritto, ma è sulla bocca di tutti: uno stile di vita sul quale non ci sono dubbi di alcun tipo, lontano dall'istrionismo della società dei consumi, ma pieno una candida (ma certamente non innocente) ed ingenua visione della sozzura della propria vita, accettata così com'è, senza peli sulla lingua, ma con un attaccamento che farebbe impallidire i religiosi borghesi. In una parola? Pasoliniano al cento per cento, ma ancora in fase di incubazione, ed ovviamente, senza la straordinaria mano artistica del poeta: la spiritualità straziante, l'immedesimazione in uno stile di vita lontano mille miglia dalla bellezza orrenda delle menzogne della borghesia, ed il sentimento di personale rimpianto, che ci saranno ad Accattone, sono ancora solo un abbozzo, una scheletro vuoto, riempito da qualcosa che si preannuncia essere importante quasi quanto l'opera futura. Lo stile scanzonato e beffardo adottato da Bolognini, da un tocco provocatorio ed introspettivo alla vicenda, andando a creare, attraverso una serie di azioni più che verosimili, una trama complessa e stratificata, che viene ripiegata su se stessa, tagliata e ricucita, per dare vita a qualcosa che mai prima di allora era stato fatto: in altre parole, il libro di Pasolini (Ragazzi di vita appunto), viene sforbiciato e distrutto, per poi essere rimesso insieme con molte meno componenti, ma con la stessa efficacia, da lui stesso, per poi essere messo nelle mani di un regista non molto attaccato allo stile neorealista, che di fatto (e qui sta il fiuto dello sceneggiatore in questione) mantiene le promesse fatte, annullando ogni traccia buon sentimento, o di taglio documentaristico, e dando allo spettatore la sensazione che, nel mondo descritto, non vi siano che persone cattive. Questa, è la dolce vita romana, lontana mille miglia dai vaneggiamenti narcisisti e cartolineschi di Fellini, ma riempito di trovate geniali, ancora oggi attuale, con una dimensione dell'azione tutta sua, un ritmo serrato, ed un coraggio da vendere, soprattutto considerando gli anni in cui è stato realizzato. Bolognini è un ottimo esecutore, ed utilizza una messa in scena futurista e che ricorda alcuni registi americani anni Novanta (soprattutto alcuni esponenti del noir moderno), ma la cosa che si fa già notare in modo eccellente è, ovviamente, la sceneggiatura di Pasolini, che volendo, è anche una rivincita che il regista si prende contro la censura: dopo aver pubblicato un libro scomodo, lo rende addirittura un film, ed il bello deve ancora venire.
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