Regia di Roan Johnson vedi scheda film
Storia vera. 1° giugno 1970: in un’Italia all’indomani di Piazza Fontana e già nel cono d’ombra degli Anni di Piombo, tre militanti pisani di Lotta Continua si convincono della imminenza di un golpe in stile Papadopoulos 1967. Uno è il tormentato cantastorie Pino Masi (Santamaria, bravo), fondatore del Canzoniere Pisano e promotore popolare (attenzione: non l’autore) della celebre Ballata del Pinelli; gli altri due (Turbanti e Cioni: bravi anche loro) sono musicisti liceali col mito di Masi che sognano di diventare suoi sodali d’arte. In fuga verso la frontiera jugoslava a bordo di una 500, per una serie di beffarde coincidenze i tre si convincono che il golpe è avvenuto: e si ritrovano a fuggire dalla frontiera “di ferro” per chiedere poi asilo politico all’Austria. Ovvero «a fare un’enorme cazzata» per cui torneranno in patria con la coda tra le gambe. L’esordio di Johnson poteva volare nella tragicommedia picaresca metaforicamente abboccata al nostro ombroso presente, ma si accoccola in un esitante film “di sceneggiatura” (incerto anche sul piano della mera ricostruzione storica d’ambiente) in cui è proprio il copione a funzionare solo a sprazzi. I veri protagonisti della vicenda che incontrano le loro controparti finzionali in un finale sulle note “anacronistiche” di Quello che non ho (1981) di De André sono un buon viatico: ma non emendano il vago senso d’inanità del tutto.
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