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La notte

Regia di Michelangelo Antonioni vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La notte

di vermeverde
9 stelle

“La notte” è un film del 1960 di Antonioni, periodo in cui il tema dominante dei suoi film è generalmente considerata l’alienazione, intesa come spossessamento della propria individualità interiore, ma che forse sarebbe più esatto considerare come incomunicabilità cioè l’incapacità di stabilire o mantenere un rapporto sincero e profondo con altri.

Il film ritrae la crisi o, meglio, lo svanire dei sentimenti, fra lo scrittore Giovanni Pontano (impersonato da Marcello Mastroianni) e la moglie Lidia (una grande Jeanne Moreau) osservata nell’arco di una giornata. La crisi, benché comune, assume aspetti diversi nei due personaggi: lo scrittore è un intellettuale che ha perso ogni spinta ideale e il suo inaridirsi lo porta a vivere secondo gli impulsi del momento, adeguandosi alle circostanze esterne come se fosse acriticamente immerso nelle convenzioni del mondo che lo circonda, senza un proprio autonomo progetto di vita se non di riferimenti etici. Lidia è consapevole della fine del suo amore per il marito e cerca di colmare il vuoto esistenziale rapportandosi in qualche modo con il mondo esterno, esemplarmente evidenziato nella famosa passeggiata in cui si interessa ad una congerie di tipi umani in situazioni disparate, ma senza una vera determinazione (appare come trattenuta) per cui i suoi tentativi non hanno seguito: il suo inaridimento non è totale, ma la sua reazione è troppo superficiale per avere successo.

La diversa condizione dei due personaggi emerge con evidenza durante la festa notturna durante la quale Lidia si estranea rendendosi conto della vacuità di quella società alto borghese, ma alla quale non è in grado di trovare alternative valide e si specchia nel proprio vuoto. Giovanni, invece, appare disposto ad alienare le proprie capacità di scrittore agli interessi aziendalistici dell’industriale, non sapendo più non cosa ma come scrivere, perdendo così la propria autonomia intellettuale facendosi ingabbiare dal sistema economico dominante; anche il suo tentativo di sedurre la figlia dell’industriale (la parte più debole del film) risulta velleitaria e inconcludente. Il suo prosciugamento interiore lo porta a smarrire la coscienza di sé e ciò emerge con inesorabile crudezza quando dimostra di non ricordare le sue parole, piene di tenero sentimento scritte alla moglie: è la misura della distanza ormai incolmabile fra la persona che era e quella che è ora; il suo amplesso finale con la moglie è infatti il tentativo di riempire con qualcosa di materiale il vuoto dell’assenza di sentimento.

I personaggi vivono nel presente perché la loro aridità gli impedisce di progettare obiettivi per il futuro: il loro è un susseguirsi di azioni e comportamenti dettati dall’effimera realtà del momento. Lo stile figurativo è una metafora dell’animo dei personaggi: è asciutto e laconico, con un susseguirsi di scene e di azioni apparentemente casuali, quasi slegate fra loro, in cui spesso dominano fredde e indifferenti architetture che con il loro rigore geometrico schiacciano visivamente gli individui oppure vi sono spazi vuoti in cui le persone si disperdono. L’assenza di musica extradiegetica rende ancora più evidente il senso di distacco e di perdita di sentimenti sinceri. 

Ritengo “La notte” il migliore dei film della cosiddetta trilogia con “L’Avventura” e “L’eclissi”: è un capolavoro in cui l’aridità e l’incomunicabilità dei personaggi è un tutt’uno con la sua resa figurativa. 

 

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