Regia di Sylvain Estibal vedi scheda film
La carne suina non è halal per i musulmani e non è kosher per gli ebrei, eppure nel mare di Gaza viene ritrovato un maiale vivo. L’animale rimane nella rete di Jafar, un povero pescatore palestinese sommerso dai debiti, che abita con la moglie in una casa requisita dall’esercito israeliano, ed il cui piano superiore è stato adibito a stazione di avvistamento. È l’inizio di una storia surreale ma non troppo, in cui il conflitto mediorientale trova il modo di interessarsi ad un essere considerato impuro da entrambe le parti, facendone addirittura, a seconda dei punti di vista, un eroico martire o un mortale nemico. La contesa territoriale e l’integralismo religioso vedono in quella creatura, pacifica e ignara, un simbolo, un’arma, un pericolo, mentre essa rimane sempre uguale a se stessa, incurante delle inutili tensioni che agitano i cuori degli uomini. Il panico che, con la sua semplice presenza, riesce a seminare tra la gente del posto, è l’isteria da cui scaturiscono tutte le divisioni eterne ed insanabili, quelle che mettono uno contro l’altro anche i popoli che, culturalmente, hanno molte radici in comune. Tutti temono, in uguale misura, il contatto con quell’essere intoccabile, in grado di contaminare istantaneamente, con la sua innata sporcizia, ogni cosa con cui venga a contatto, a cominciare dal suolo che calpesta. Eppure quella bestiola può diventare, su ambo i fronti, funzionale alla lotta per la sopravvivenza, come fonte di guadagno o strumento di difesa. Ci vuole un po’ di ingegno, a dire il vero, per inventarle un ruolo credibile ed adatto, in un ambiente che le è quanto mai ostile. La sceneggiatura di Sylvain Estibal sfodera una buona dose di fantasia, per cucirle addosso tanti ruoli insieme, i quali, come negli spettacoli della commedia dell’arte, si costruiscono anche con la finzione e l’imbroglio, con attrezzi e costumi realizzati con mezzi di fortuna, con travestimenti che ingannano l’occhio ma lasciano trapelare la verità nascosta. Così come il sotterfugio innesca la suspense, l’equivoco, procurato deliberatamente o sorto per caso, inserisce una gustosa vena umoristica, in questo gioco di guerra in cui pochi sembrano credere veramente. Jafar è un piccolo esponente della mediterranea arte di arrangiarsi, e la dimostrazione vivente di come l’occasione faccia l’uomo peccatore; e tanti altri, come lui, dimostrano, almeno fra le righe, di non voler prendere troppo alla lettera i precetti della propria fede, né troppo sul serio lo spirito della propria missione. Gli individui fedeli alla causa sono personaggi tragici o involontariamente comici, in questa blanda parodia della jihad e della sua controparte, nella quale i tipi svegli non sono quelli che hanno in mano le leve del potere. La controrivoluzione parte dal basso, dai dubbi insinuati nel sistema da coloro che hanno la pancia vuota ma la testa lucida: Jafar è il furbo per necessità, che il corso degli eventi trasforma in un dissidente innocuo e parzialmente inconsapevole della portata della sua provocazione. In Le cochon de Gaza la favola zoologica interseca la spy story in un contesto campestre, nel quale non ci sono agenti segreti né messaggi in codice, perché i traffici clandestini riguardano esclusivamente beni in natura. Lo scambio avviene ai margini del mondo, dove i contadini lavorano la terra e le guardie di confine cercano di combattere la noia, mentre la politica è ottusamente impegnata a guardare altrove.
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