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Quasi amici - Intouchables

Regia di Olivier Nakache, Eric Toledano vedi scheda film

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La recensione su Quasi amici - Intouchables

di supadany
8 stelle

Basta una rapida occhiata per capire come mai “Intouchables” sia stato uno dei film “fenomeno” tra il 2011 ed il 2012 nelle sale di tutto il mondo (più di 400 milioni di dollari l’incasso worldwide), ovvero perché riesce ad essere immediato come pochi, mettendo tutte le cose al posto giusto all’interno di una situazione dove questo non accade praticamente mai nella realtà.

Philippe (Francois Cluzet) è un uomo molto ricco, che vive da anni paralizzato, alla ricerca di un nuovo assistente che si occupi di lui a tempo pieno.

La scelta ricade su Driss (Omar Sy) che nemmeno lo vorrebbe questo incarico; dopo una serie di difficoltà iniziali entrambi ricaveranno molto da questo rapporto riuscendo ad avere un nuovo atteggiamento nei confronti della vita.

 

 

Una buone dose di sentimenti segna positivamente un film che pur essendone infarcito, anche con un’indubbia premeditazione di base, riesce a far andare oltre nel giudizio per tanti buoni motivi.

In fondo perché si tratta di una sorta di “redenzione” reciproca, un ritorno ad apprezzare ciò che di buono la vita ti può dare anche considerando tutte le difficoltà, implicite e non, che la stessa ti pone dinnanzi giorno dopo giorno, tutto ordinato (anche troppo), ma raccontato con una naturale partecipazione che poi permette allo stesso pubblico di sentire il racconto assai vicino alle corde emotive più personali.

Oltre al rapporto, forte di una composizione caratteriale di sicuro effetto, viene naturale il tema dell’integrazione sociale (un ricco e povero,ma anche un bianco ed un nero, non sarebbero mai potuti diventare amici in una situazione di normalità), l’evasione delle regole da una sferzata di vitalità, un approccio basic alla vita come quello di Driss è capace di scardinare le difese più collaudate, il finale poi fa letteralmente correre i brividi lungo la schiena anche grazie all’accompagnamento musicale, firmato da Ludovico Einaudi, che riesce ad entrare sotto la pelle viva.

Gran merito della riuscita va comunque attribuito in primis ai due interpreti cardine, soprattutto Omar Sy è oltremodo spontaneo (e la parte richiedeva una sincera umanità più di una preparazione attoriale), mentre la sua controparte è segnata da un Francois Cluzet che invece di recitazione se ne intende ed anche questo connubio fatto di capacità distanti si riflette appieno in ogni singola scena.

Insomma, si tratta di un film popolare (di buoni non se ne realizzano nemmeno molti), di quelli che riconciliano, confezionato senza toccar vette importanti, ma componendo bene i singoli cocci, capace di trascinare nel racconto, senza invenzioni particolari, ma in fondo già questo basta per soprassedere sulla possibile furbizia di fondo.

Quando il cinema è prima di tutto un’esperienza di vita.  

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