Regia di Olivier Nakache, Eric Toledano vedi scheda film
Continua l’attacco del cinema francese alla commedia, inflazionando il genere con titoli più o meno apprezzabili, misurati come da tradizione nei contenuti e nei toni. La coppia di registi Nakache –Toledano prova a spingersi in territori più insidiosi e ottiene un grande successo di critica e di pubblico, Quasi amici prende in considerazione un tema delicato come il rapporto con la disabilità cercando di trovarne una via di uscita per chi ne è coinvolto. Philippe, miliardario e tetraplegico seleziona un assistente tuttofare e lo trova in Driss, di origini africane, dalla fedina penale non immacolata e abbastanza inadatto a ricoprire l’incarico. Naturalmente la strana coppia funzionerà a meraviglia e i limiti e i comportamenti fuori luogo di Driss giocheranno a favore di una reazione mentale di Philippe che troverà nuovi stimoli per continuare a vivere. L’obiettivo minimo è centrato, il consenso è ottenuto attraverso un consolatorio ragionamento velato di ipocrisia, i canoni di genere soddisfatti come il pubblico che sorride, si commuove, paga volentieri il biglietto. Sarebbe stato più interessante invertire le convenzioni narrative che appaiono un po’ scontate, Philippe ricco colto bianco malato, Driss povero nero ignorante fisico esplosivo. La quasi amicizia strisciante del film è coordinata dal simbolo imperante della nostra società, il denaro, e se una delle chiavi originalissime della vicenda è dimostrare che anche i ricchi hanno i loro fastidi, possono lenire i loro dolori anche i più gravi ammorbidendoli con la dose giusta di ricchezza. Driss, ignorante e volgare rapinatore di mezza tacca prende possesso della suite a sua disposizione per i suoi servizi, in un mese diventa uno psico operatore socio sanitario perfetto, adotta il moto di Warhol quello che dice che con l’arte te la cavi sempre, e dipinge opere pop degne di Basquiat senza allucinogeni. In cambio di tanta grazia, Driss si trasforma da Eddie Murphy a Will Smith de noaltri, ma finito il suo compito ritorna da dove è venuto. La rappresentazione è tendenziosa e disonesta, prendiamo per esempio la scena della festa del compleanno di Philippe, stufo della musica classica Driss balla sulle note della black music, trascinando in allegria gli invitati, chi cade goffamente per terra rivelandosi poco avvezzo al ballo? Il giardiniere, un proletario diciamo così, mentre gli impagliati aristocratici se la cavano, perché sanno interpretare la cultura altrui. Davanti ai movimenti scatenati dei muscoli di Driss, come reagisce Philippe? Sorride, si diverte, non dico che avrebbe dovuto incupirsi ma era l’occasione giusta per inserire nel montaggio la scena con i lanci con il parapendio che amava fare prima di schiantarsi rovinosamente, sarebbe stata una risposta umanamente comprensibile al suo disagio. L’amichetto della figlia di Philippe, riccastro viziato, insulta pesantemente la ragazza ma minacciato da Driss porterà per sempre i croissant al risveglio della ex, quando si proviene da una famiglia sana, si vede. Il fratellastro di Driss va a scuola e spaccia droga, poteva fare altro? Gli esempi del politically correct abbondano, meglio sorvolare ( col parapendio..). Il film offre una chiave di lettura rispettabile, ma usa dei messaggi travianti, non ultimo la definizione contraddittoria del personaggio principale, Philippe, calato in una situazione certamente complessa e intimamente molto drammatica. Egli viene presentato come un uomo dal carattere di ferro, decisionista, dalla vita passata spericolata, nella realtà non accetterebbe così facilmente di essere pesantemente offeso da Driss, dal quale non pretende compassione ma rispetto. Nello svolgersi della storia si rivela completamente dipendente da Driss e privo di autonomia mentale, contraddicendo la sua personalità di fondo, che se fosse stata così arrendevole e compiacente avrebbe dato la possibilità a familiari e collaboratori di scegliere un altro assistente. Ma dobbiamo crederci, con i soldi tutto si può, si fanno i film, si diventa perfino quasi amici.
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