Regia di Olivier Nakache, Eric Toledano vedi scheda film
Lui è Philippe Pozzo di Borgo. L’altro è Abdel Yasmin Sellou. Due personaggi reali, dei giorni nostri, che si sono incontrati per caso e, senza volere, hanno cambiato l’uno la vita dell’altro. Semplicemente stando insieme per due settimane. Philippe è un facoltoso uomo d’affari di sangue blu che, nel 1993, dopo essere precipitato col parapendio, è rimasto paralizzato dal collo in giù. Da allora ha bisogno di assistenza continua; è circondato di una squadra di collaboratori e terapisti, della quale un giorno, nonostante la sua totale assenza di qualifiche professionali, entra a far parte Abdel, un giovane di origine algerina. Nel film quest’ultimo si chiama Driss, ed è un ragazzo senegalese disoccupato e con precedenti penali, che vive in condizioni disagiate in un caseggiato di periferia. Il perfetto contraltare (francamente anche un po’ stereotipato) al ricco aristocratico che abita in una lussuosa villa di campagna. La premessa pare preludere alla solita favola in cui i dislivelli sociali si abbattono in nome dell’amicizia, che può sbocciare anche tra un ricco e un povero, e magari durare per sempre, a dispetto delle differenze. Una favola che, in questo caso, è realmente accaduta, e che Philippe ha raccontato nel volume autobiografico Le second souffle (2001). Inutile soffermarsi sulla morale umanitaria, tanto bella quanto scontata. Meglio, invece, godersi lo spirito di una messa in scena che trasforma la diversità tra i due protagonisti in una fabbrica di artistiche scintille. Il divario linguistico e culturale è fonte di un’incomprensione che si traduce in un reciproco arricchimento: la dissonanza diventa, per i due uomini, il sale che dà sapore ad una vita apparentemente priva di futuro. L’interazione con un essere diverso induce al ripensamento e al cambio di rotta. Per Philippe, l’estroverso ed ingenuo Driss è uno sprone ad uscire dall’isolamento, per Driss, viceversa, il rigore di Philippe è un invito a mettere ordine nella propria esistenza, ponendosi finalmente precisi obiettivi personali. Sul piano concreto, il vantaggio per Philippe è la compagnia di un ragazzo allegro e un po’ buffo, per Driss è l’occasione di iniziare e lavorare ed ottenere il permesso di soggiorno. In questo rapporto nato un po’ per scommessa, un po’ per contratto, l’umanità inizia subito, da entrambe le parti, a sgorgare senza inibizioni: in virtù di un’ineffabile alchimia, nessuno dei due si vergogna di mostrare la propria inadeguatezza. Driss ha un fisico prestante, però è maldestro e privo di istruzione, Philippe, invece, è colto e raffinato, però vive in un corpo totalmente inerte, incapace di svolgere qualsiasi operazione. I due individui, per quanto perfettamente complementari, non possono integrarsi, trasferendo all’altro i propri punti di forza: però possono vivere la stimolante esperienza di doversi confrontare con un’immagine difforme da quella che sono abituati a vedere riflessa nello specchio. Philippe e Driss affrontano questo compito senza drammi, e con una sana curiosità verso ciò che, dell’altro, arrivano con sorpresa a scoprire strada facendo. Negli occhi che li guardano vedono il riverbero del proprio valore, ed un motivo per andare avanti che credevano di aver definitivamente perduto. Il contrasto evidenzia le forme ed i colori: Philippe e Driss riescono finalmente a distinguere i propri contorni ponendosi ognuno sullo sfondo dell’altro. E basta dunque davvero poco per realizzare il miracolo: è sufficiente restare così, attaccati senza criterio come due sagome che non combaciano, per capire in che modo si è fatti, e quale sia il profilo migliore da porgere al mondo. Intouchables - intoccabili – sono le due metà di questa feconda disarmonia, in quella delicata fase che le vede abbracciate contro ogni logica. Nulla può turbare quel delicato connubio, che è un azzardato gioco di equilibrismo: un cimento estremo, come quelli che, fino al fatale incidente, avevano spinto Philippe ad andare sempre più veloce, e sempre più in alto. Tentare l’impossibile è una prova alla portata di tutti, in qualunque situazione: Philippe, pur immobilizzato su una sedia a rotelle, non rinuncia a sfidare il paradosso, trascinando, nella sua vittoria, quel ragazzo di banlieue che fornisce la più improbabile versione dell’eroe. Quasi amici è un film non completamente formato, non definitivo, perché incentrato su un momento labile e indistinto: il fuggevole frammento di un processo di crescita, immaturo come un germoglio, ed imperscrutabile come un frutto del caso.
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