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Detachment. Il distacco

Regia di Tony Kaye vedi scheda film

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Scarlett Blu

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La recensione su Detachment. Il distacco

di Scarlett Blu
8 stelle

Sono rimasta molto colpita da questo bellissimo film, il primo che vedo del regista Tony Kaye, che affronta il tema della scuola e dell’insegnamento in maniera molto sofferta e per nulla consolatoria, anzi, direi che impietosamente, in modo crudo e realistico, mostra una realtà giovanile ormai allo sbando, senza riferimenti di alcun tipo, e senza apparenti prospettive per il domani.



L’accostamento più naturale che mi viene in mente è con un altro film che ho molto apprezzato, a tema identico, risolto però diversamente e con un finale più consolatorio, Freedom Writers.



Non si vede una speranza illuminare il futuro e anche un insegnante determinato e coraggioso come il protagonista, il supplente Hanry Barthes - un fantastico, doloroso e a volte rabbioso, coinvolgente Adrian Brody, attore straordinario, semplicemente perfetto nella parte di un concreto idealista, amareggiato e più spesso disilluso - può trovare difficoltà molto serie e ostacoli quasi insormontabili nel fare bene il suo lavoro, nel tentativo di trasmettere dei sani valori e aiutare gli studenti con cui si trova a interagire.

Ci riesce solo perché non si lascia coinvolgere da un dolore che è simile al suo personale, nel film appena accennato e lasciato intuire attraverso il quotidiano della vita privata, relegato a un passato famigliare raccontato in rapidi surreali flashbach.

Gli studenti che qui vengono descritti, sono assai simili a certi ragazzi delle nostre realtà di provincia, bulli aggressivi, violenti, svogliati con poco rispetto di sé, e a maggior ragione, degli altri, coetanei o professori non importa.

Il vero dramma è che il mondo degli adulti, che siano insegnanti o genitori, - questi ultimi molto spesso responsabili dei comportamenti dei figli - non sa come porsi verso questi giovani immotivati e privi di ambizioni, e quando lo fa, l’approccio è quasi sempre sbagliato o controproducente, eccessivo nel rigore o nel permissivismo, sempre pronti a difenderli anche quando hanno torto, incapaci di dare l’esempio corretto, di mostrare la via giusta per diventare adulti responsabili.

Così, quello che dovrebbe essere il più bel lavoro diventa una sfida quasi quotidiana contro l’inedia e l’apatia, la sconfitta personale e il sentirsi falliti e inadeguati a una tra le missioni più nobili per l’essere umano: la formazione di un percorso di vita, la scoperta delle attitudini e inclinazioni che ci rappresentano, attraverso cui esprimiamo noi stessi, che diventeranno (o dovrebbero diventare) un’ indirizzo verso cui puntare.


C’è la ragazza grassa dall’anima artistica che ama la fotografia, attraverso cui rappresenta ed esprime sé stessa, il suo malessere e il mondo che la circonda, che lancia segnali, grida d’aiuto che purtroppo e tragicamente non vengono recepiti.

E c’è la ragazzina vittima di abusi che offre servizi sull’autobus per pochi soldi, che non ha mai ricevuto una parola gentile e quasi s’innamora dell’insegnante che per breve tempo la toglie dalla strada e le dà un tetto sopra la testa.

Storie di dolore, di sconfitte, di insegnanti che rispondono alle difficoltà con il sarcasmo (James Caan) o di altri che crollano (Lucy Liu), di realtà famigliari soffocanti e repressive, di violenza gratuita e bestiale, incapacità di empatia e di accettazione dell’altro, storie con cui il supplente si confronta e che volente o no, lo travolgono e lo segnano.

Non resta che esercitare, per quanto è possibile il distacco.

Ma non è facile; la storia di quei ragazzi ci riguarda, perché poteva essere anche la nostra.

Forse è la nostra.

Film intenso e bellissimo dominato essenzialmente dalle luci fredde, tranne qualche scena (il muro rosso e le immagini sfuocate che rimandano al passato di Henry) dal ritmo serrato e coinvolgente, assolutamente mai banale, pietistico o retorico.

4 stelle piene e abbondanti.

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