Regia di Tony Kaye vedi scheda film
Un luogo di tenebra, funereo, desolato, angosciante; all’uomo consapevole e virtuoso - che vi dimora, pur transitoriamente, riversandovi speranze, buoni propositi, ampiezza di pensiero -, di fronte all’insopprimibile evidenza del fallimento, si materializza, come il più terrificante degli incubi, la propria immagine di spettro. Una non persona, senza volto, con l’animo mutilato, che abita il vuoto e affolla la solitudine. Il tormento erode, lentamente e inesorabilmente, tessuti epidermici esposti all’accecante luce delle oscurità prodotte dal disvelamento delle illusioni, finché il chiarore tramuta in inesistenza; squarcia brandelli di carne infettata dalla rassegnazione, dall’abbandono di ogni moto vitale. Uno stato di prostrazione progressiva, che scolpisce tratti d’infinita mestizia, e nutrito da continue sconfitte, atroci scoperte, soluzioni definitive.
Il distacco - da se stessi, dal mondo popolato di implacabili, laceranti demoni passati e presenti, dagli assordanti silenzi impotenti spettatori - è inevitabile, è pura presa d’atto. Così la coscienza trova rifugio, e può proseguire nel catalettico cammino.
La scuola come teatro di battaglie, feroci, perse, forse mai veramente combattute, ed in pieno disfacimento fisico e morale: le rovine testimoniano uno stato d'animo corrotto, d’inesplicabile dissoluzione, d’imperscrutabile adombramento.
Un posto fisico che riflette il decadimento dello spirito, il maligno trionfo delle rinunce.
Quella di Tony Kaye è sì un’opera d’indagine e critica - severa, profonda, spontanea - del sistema scolastico americano (e non solo) ma è anche un’attenta scomposizione dell’uomo e dei tempi, in cui lo stesso percepisce d’essersi smarrito, impossibilitato a comprendere e paralizzato da paure e afflizioni.
Primissimi piani che denunciano inquietudini e imperfezioni; disegni - rozzi, semplici, eloquenti - che animano la lavagna; resa visiva densa, sgranata, ruvida, sporca, “viva”, pulsante; fotografie con impresse la incorporeità e l’incomunicabilità di corpi in caotica putrefazione esistenziale; testimonianze dal vero aspre, violente; musiche rarefatte e penetranti, inquietanti; interpretazioni intense e sofferte: ogni elemento del film contribuisce alla creazione di un ritratto sincero, rigoroso, delicato, amaro, crudo.
Aperto da una citazione da Lo straniero di Albert Camus, e chiuso dall’incipit de La caduta della casa degli Usher di Edgar Allan Poe, Detachment - Il distaccoè un notevole, vibrante, teso affresco della società moderna, avente il valore di un documento storico. Da guardare con attenzione. Da studiare.
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