Regia di Lelio Luttazzi vedi scheda film
La RAI di un tempo aveva il coraggio di dare un’opportunità a Lelio Luttazzi, finito suo malgrado in una faccendaccia di droga in cui non c’entrava niente, e allo stesso tempo aveva il coraggio di non mandarlo in onda. Una specie di mobbing artistico senza apparente senso. Che male poteva fare un film di sessanta minuti scritto, diretto ed interpretato da un beniamino del piccolo schermo desideroso di rivalsa? Chissà. Recuperato in tempi recenti, manifesta un talento interessante influenzato da Antonioni ma con una coscienza civile né scontata né inquadrabile in una ideologia preconfezionata. Luttazzi non rinuncia all’autobiografismo (il suo personaggio si chiama Decio ed ama il jazz) ed inscena una specie di processo a chi processa (un giudice, incarnato da un insinuante Mario Valdemarin) sotto forma di serrato batti e ribatti con venature mistiche.
Per quanto non di rado semplicistico e didascalico, con un indugiare su primi piani forse eccessivo, il film ha un suo perché grazie a tre fattori fondamentali: la dicotomia tra la superficialità delle chiacchiere ipocrite e frivole tra borghesi e la greve pesantezza di una tematica controversa (che succede se chi giudica sbaglia?); la componente spettrale che si presta a mille interpretazioni (i personaggi sono dei fantasmi, i fantasmi interagiscono con noi e condizionano il nostro destino, i fantasmi siamo noi o sono dentro di noi e così via) poco frequentate nella cinematografia nostrana in chiave non fantastica, che conferisce una vena inquietante (il personaggio dell’amico di Decio accusato di aver praticato l’eutanasia su un bambino – che poi è la proiezione di Luttazzi – è un fantasma incapace di connettere con il mondo circostante; la moglie del giudice percepisce le loro presenze attorno; e lo stesso Decio e la moglie sono dei fantasmi che vivono lontano dalla realtà); un gruppo d’attori inedito e non banale dominato dall’autore coinvolto ed appassionato. Ingenuo e forse troppo ambizioso, certo, ma onore al merito di un signor dilettante così saggio da non tornar più dietro la macchina da presa.
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