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L'illazione

Regia di Lelio Luttazzi vedi scheda film

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La recensione su L'illazione

di mm40
4 stelle

Vorrebbe essere un film intellettuale, è invece un film cerebrale. La profondità della scrittura dei personaggi e delle situazioni (sceneggiatura del regista e di Laura Piccioni) si rispecchia in dialoghi spesso artefatti, nei quali le idee che stanno alla base del film emergono talvolta in maniera azzardata e brutale, e che mal si addicono a questa sorta di kammerspiel pur girato in maniera accettabile e non privo di interesse da altri punti di vista che quello puramente estetico. Cerebrale: perchè quel che preme al regista è lasciare una morale, un insegnamento molto chiaro alla fine del film, e il rancore verso le vicende trascorse (il carcere per droga, nel 1970, risoltosi dopo circa un mese perchè completamente scagionato dalle accuse: eppure la sua carriera artistica venne stroncata) traspare in ogni inquadratura; non che ciò, di per sè, sia male: è soltanto uno stimolo come un altro, o almeno lo sarebbe finchè non interferisce nella costruzione dei personaggi e delle loro battute. Ad esempio, lo scambio fra lo scrittore (Luttazzi stesso, che assume il nome di Decio, praticamente identico al suo, per non destare dubbi sull'autoreferenzialità del personaggio) e il giudice (Alessandro Sperlì, più che altro noto come doppiatore) in cucina, verso la fine della pellicola, è letteralmente farcito di sentenze che rispecchiano questo sentimento astioso di rivalsa: il giudice viene attaccato senza pietà, il suo personaggio finisce per apparire oltremodo meschino, spocchioso, ignorante ed egocentrico, e soprattutto, una volta che lo scrittore lo accusa di non avere concetti, ma preconcetti, e di agire in totale libertà, anche dalla propria coscienza, perchè nessuno può giudicare il giudice, ecco: a quel punto l'accusato non risponde neppure più, si limita a chinare la testa (metaforicamente: lo farà concretamente pochi minuti più tardi, di fronte al suo ennesimo grossolano errore di valutazione). Insomma, un film a tesi troppo esplicita; tale eccesso può anche essere giustificato in altro modo, essendo quelli gli anni in cui il cinema civile esplodeva in Italia (un titolo su tutti, l'Indagine di Petri del 1970, che arrivò contemporaneamente a vincere l'Oscar e a Cannes), ma è innegabile la carica prepotente, rabbiosa e personalissima del messaggio dell'autore. Che infatti, non ottenendo una distribuzione nell'immediato, decise di abbandonare al suo destino la pellicola; ritrovata quarant'anni dopo, alla sua morte, dalla moglie, è stata restaurata anche grazie alla Rai - che pure lo dimenticò frettolosamente dopo i fatti del 1970. Le inquadrature a volte si muovono un po' troppo, il sonoro qua e là singhiozza: forse i limiti del Luttazzi regista vanno mescolati con quelli dovuti all'usura di un film rimasto 'in cantina' per quarant'anni; ad ogni modo si devono aggiungere un budget modesto, che comunque non pesa più di tanto sull'operazione, e un cast non eccezionale, nel quale oltre ai due nomi citati si possono ricordare l'attore teatrale Mario Valdemarin e Annabella Incontrera, vista in tante particine, ma mai in ruoli sostanziosi (neppure qui, anche perchè a farla da padrone sono i tre uomini, in tutto il lavoro). 5/10.

Sulla trama

Tre coppie si riuniscono in una casa di campagna: il padrone, uno scrittore che riceve misteriose lettere anonime, il possibile compratore della villa, un giudice presuntuoso, e il vicino, con una triste storia alle spalle, e le rispettive mogli.

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