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My Tehran for Sale

Regia di Granaz Moussavi vedi scheda film

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La recensione su My Tehran for Sale

di OGM
8 stelle

La Persia underground, vista attraverso gli occhi di una donna. Che si aggrappa con tutta l’anima ad una impossibile modernità. Marzieh porta i capelli cortissimi e convive con un uomo con cui non è sposata. Ed interpreta il ruolo di un clown in un teatro clandestino, truccandosi il viso, indossando una tuta aderente, e facendo le smorfie. E poi fa il palloncino col chewing gum, canta, fuma, a volte assume stupefacenti: gesti proibiti, falsamente liberatori, con cui si sfogano le piccole gioie e i grandi dolori. Sono attimi strappati ad un diritto di essere che, a Teheran, non esiste sulla carta, ma è presente in tutti i cuori: nelle persone che, per mesi e mesi, fanno la fila davanti all’ufficio in cui si rilasciano i visti per l’espatrio, e in quei giovani che si danno appuntamento in campagna, in un fienile, per dare vita ad un rave party. E poi vengono arrestati dalla polizia e condannati a trentacinque frustate. Quella sera, Marzieh e Saman sono i soli a sfuggire alla cattura:  a salvarli è stata l’idea di uscire dal locale per appartarsi in una vicina stalla. Inizia così il loro sogno di evadere, di costruirsi un futuro altrove. Magari in Australia, dove lui è emigrato tanti anni fa. Dove tutto è bello, colorato, ma anche tanto estraneo e sfuggente. Il futuro è una fantasia incongrua: è l’ideale proiezione di un presente contraddittorio, in cui la vita che si svolge in privato è una follia vietata, che occorre coprire quando si esce alla luce del giorno. Alla parte nascosta dell’esistenza appartiene anche la sofferenza delle donne sfruttate ed incomprese, che capita di incontrare nelle anticamere dei tribunali e degli studi medici,  dove implorano un aiuto che non potranno ottenere. Là fuori, nel mondo, c’è probabilmente qualcosa di diverso, che, stando da questa parte della barriera, è ben difficile immaginare: ed infatti sono strani ed ermetici i versi delle poesie che ne parlano, imprigionati in un simbolismo visionario che forse è frutto di un’allucinazione con cui si riempie il vuoto di un mistero, o forse è un linguaggio in codice attentamente congegnato, per affermare e smentire, perché non si sa mai. Il principio di fondo è che tutto, comunque, vada rinviato: ci si abitua a quest’idea, vivendo in un mondo che, ad un certo punto della sua storia, ha improvvisamente deciso di sospendere il progresso, l’evoluzione delle menti, i cambiamenti culturali. Nascendo sotto un regime integralista ci si adegua, tristemente, a relegare in un domani non meglio definito la piena realizzazione di sé, dei propri sentimenti e delle proprie inclinazioni. L’amore, l’arte, la felicità: tutto, per Marzieh, verrà dopo, quando sarà uscita dal Paese, e tutto cesserà di essere soltanto un desiderio. Allo stato attuale, i suoi progetti sono come un copione in attesa del debutto: Marzieh può solo limitarsi a fare le prove generali di uno spettacolo da portare in giro per il mondo, perché, nella sua patria, non potrebbe mai andare in scena. Andare lontano, insieme all’uomo che ama, è il semplice programma di una tournée da inventare strada facendo, sulla base di un canovaccio ancora molto scarno: anche la pièce che sta preparando con la sua compagnia di attori è un dramma buio e muto,  si direbbe l’abbozzo di un pensiero nuovo, già sbocciato, però ancora informe, che aspetta di essere arricchito di suoni e di colori. La rivoluzione, per il momento, è soltanto un’ipotesi, un azzardo della mente, uno schema della ragione,  una categoria “neo-kantiana” che attende di essere riempita di iniziative pratiche e concreti proclami. Ed è preceduta dalla lunga ombra di una speranza che da anni si trascina senza mai aver visto il sole. My Tehran For Sale è come un canto senza musica, un’invocazione fatta solo di sospiri, di boccate d’aria che anticipano invano il vento del rinnovamento: una voce afona ma accorata, a cui fa eco, dall’altra parte,  il sinistro richiamo di un’utopia che ti chiede tutto, che ti costringe ad abbandonare ogni cosa, e ti lusinga oltre ogni limite, senza però, purtroppo, prometterti alcunché.

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