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Camino

Regia di Javier Fesser vedi scheda film

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La recensione su Camino

di Peppe Comune
8 stelle

Camino (Nerea Camacho) è una bambina di undici anni. I genitori, Gloria (Carmen Elias) e Josè (Mariano Venancio) sono convinti aderenti all’Opus Dei, Nuria (ManuelaVellès), la sorella più grande, ha scelto di diventare suora ed essa stessa è fatta oggetto di una ferrea educazione religiosa. La vita che gli gira intorno è costellata di immagini sacre ed esortazioni a rinchiudersi in preghiera. Ma è ancora una bambina e come tale partorisce i desideri istintivi di tutti i suoi coetanei. A scuola conosce Jesus (Lucas Manzano), un bambino che gli fa battere per la prima volta il cuore, sogna di recitare al suo fianco nella rappresentazione di Cenerentola che stanno preparando in un laboratorio di teatro. Ma Camino scopre di avere un bruttissimo male e invece di andare alle prove e stare accanto al suo Jesus è costretta a starsene in ospedale e a sottoporsi a cure dolorosissime. Prega e pensa a Jesus, segue gli insegnamenti inculcatigli soprattutto dalla madre e sogna quello che sognano tutte le ragazzine della sua età.

 

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Camino - Nerea Camacho

 

Il modo più semplice e diretto per rappresentare i danni potenziali prodotti dall’adesione fondamentalista ad un credo religioso è quello di mostrare la carica di violenza che opposti integralismi sono capaci di scambiarsi a vicenda. Un altro è quello di mostrare come una potente istituzione religiosa come l’Opus Dei si insinua docilmente nel tessuto culturale di un popolo attraverso una struttura tentacolare che gli consente di avere una presenza ampiamente ramificata sul territorio (attraverso banche,scuole,ospedali) e come permea la vita dei suoi adepti conducendoli all’incondizionata e acritica accettazione dei suoi precetti. ”Camino” (ispirato alla storia vera della piccola Alexia Gonzalès Burgos, morta nel 1985 a soli 14 anni per un tumore maligno alla spina dorsale dopo una lunga e dolorosa agonia) dello spagnolo Javier Fesser segue la seconda strada ed avrà raggiunto il suo intento visto l’ostracismo feroce di cui è stato fatto vittima il film nonostante il discreto successo di pubblico in Spagna e la vittoria di 6 premi Goya. Le verità di fede sono questioni assai delicate, si fondono per definizione su dogmi ritenuti infallibili, occorre massimo rispetto per chi ci crede e indirizza la propria vita intorno ad essi, ma occorre esigere altrettanto rispetto ed educazione civica da chi attribuisce il crisma dell’assolutezza a visioni del mondo che non possono essere che parziali. Ci si può astrarre dalla vita che scorre dimenticandosi dell’interazione dialettica che ogni uomo ragionevole dovrebbe instaurare con tutti gli elementi che contribuiscono a creare lo scenario mutevole della realtà sensibile che lo circonda ? La domanda non è certo semplice e neanche presuppone una risposta univoca. Il cinema, dal canto suo, non deve sicuramente darne di sue ma limitarsi a presentare un quadro di riferimento credibile attraverso la verosimiglianza dei caratteri rappresentati. Per gli esponenti dell’Opus Dei, anche la più piccola circostanza ordinaria può essere ricondotta alla volontà di Dio e quindi essere vista come un segno di benevolenza per chi l’ha prodotta. Questo aspetto fondamentale e fondativo dell’ordine religioso è quanto Javier Fesser riesce a restituire ottimamente sullo schermo, senza mostrarsi irriguardoso nei riguardi dell’autenticità piena dello spirito cristiano e senza mancare di rispetto alla fideistica adesione ad un credo religioso. Per l’autore spagnolo “l’Opus Dei è un cammino che non ti porta da nessuna parte” e il suo intento è stato quello di insinuare, tra le pieghe di tanto ostentato misticismo, il male inconsapevole che si è capaci di produrre quando la fede in Dio si trasforma in fanatismo cieco. Tutte le persone che ruotono intorno alla sfortunata sorte di Camino sono prodighe di attenzioni sincere nei suoi confronti, ma il tanto amore che ognuno è capace di offrire sembra avere una natura poco vitale, veicolato sempre e solo dalla precettistica dell’ordine che si sono imposti di rispettare e orientato a creare una relazione di natura divina tra l’esperienza che ha coinvolto Camino e la sua famiglia e i segni “evidenti” attraverso cui Dio starebbe dimostrando la propria benevolenza nei loro riguardi (a tal proposito, occorre ricordare che la povera Alexia Gonzalès Burgos è stata beatificata). Tra questi va escluso il padre di Camino, l’unico che matura un coinvolgimento emotivo con le esperienze e i desideri della figlia. Il modo diverso con cui lui e la moglie si rapportano alla sorte di Camino rappresenta il fulcro intorno a cui ruota tutto il film, il modo attraverso cui scorgere la differenza tra le umane debolezze dell’uno e la fede incrollabile dell’altra, tra una fede che si nutre d’amore terreno e le convinzioni dogmatiche che offrono sempre una concreta ed arbitraria consolazione. L’equivoco su chi fosse il reale destinatario delle parole pronunciate da Camino nel periodo culminante la sua malattia tra il piccolo Jesus, che gli ha fatto per la prima volta battere il cuore, e il Gesù figlio di Dio, se da un lato può rappresentare il punto debole del film, dall’altro lato rappresenta un espediente che serve a creare un rapporto di intima specularità tra gli umani piaceri della vita e un intensa ricerca spirituale, come due cose che non possono e non devono escludersi. Camino è cresciuta seguendo una ferrea disciplina religiosa (preparata come la sorella ad essere afferta a “la Obra”), ma l’istintiva natura sognante di una bambina non gli impedito di maturare i piaceri tipici dei suoi coetanei, di innamorarsi, desiderare di fare teatro, ballare, passare il tempo con le amiche. Il padre e la madre proiettono verso l’esterno questa dualità presente nella condizione esistenziale di Camino : il primo, cercando di assecondare i suoi più intimi desideri, in perfetta solitudine, ripercorrendo i percorsi di una bambina e non i segni esteriori di un educazione inculcata, la seconda, compiacendo senza dubbio alcuno le decisioni dell’Ordine che vuole farne l’immagine consacrata della volontà divina. Emblematica è la sequenza in cui la moglie dice che “bisogna ringraziare Dio per quello che sta capitando alla famiglia” e il marito ribatte “ringraziare di che” in un modo da far rimanere il repentino moto di ribellione strozzato in gola, come di un qualcosa che non può veramente nulla contro quell’invalicabile muro di convinzioni. La madre è profondamente addolorata per la sorte della figlia, ma si consola perché crede fermamente di aver offerto il suo martire alla causa dell’Opus Dei. Il padre, molto più semplicemente, piange per l'amata bambina che sta soffrendo e vorrebbe tanto esaudire qualche suo desiderio. Grande film, bello e coraggioso.

 

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