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Nosferatu, il vampiro

Regia di Friedrich W. Murnau vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Nosferatu, il vampiro

di ed wood
9 stelle

Da almeno una quindicina d’anni, ho visto e rivisto questo film svariate volte. L’ultima qualche giorno fa. Continuo a ritenere che il vero capolavoro di Murnau, quello che ha cambiato per sempre il cinema, sia “L’Ultima Risata” (1924), e non “Nosferatu” (1922). E’ con L’Ultima Risata che il regista tedesco formalizza il suo “espressionismo del quotidiano”, nel quale giochi d’ombra, controluci, carrelli, avvolgenti movimenti di macchina, soggettive, azione in profondità di campo, slanci visionari non delineano un universo fantastico/orrifico, ma enfatizzano i conflitti psicologici/sociali di personaggi reali. Tuttavia, “Nosferatu” resta, non solo un caposaldo dell’avanguardia espressionista e un progenitore dell’horror, ma anche un’opera di una complessità tematica/estetica inaudita, in un’epoca in cui non ci si era ancora affrancati dal classicismo stilizzato di Griffith: “Nosferatu” si presta così a quella varietà di spunti, letture, interpretazioni, allusioni che solo le migliori opere moderne consentono. Il film si può dividere in due metà. La prima, più compatta ed avvincente, rappresenta l’andata, con la scoperta del Male; la seconda, più sfilacciata ma anche più stimolante e ricca di risvolti, rappresenta invece il ritorno, con la diffusione del Male. E’ suggestivo constatare come il Male venga evocato, percepito, rappresentato nelle diverse fasi. Il Male, in questo film, è inizialmente incarnato dalla figura mostruosa del conte Orlock, per poi diventare un mero concetto astratto, un’entità inafferrabile che si diffonde fra le pieghe di uno spaurito consorzio umano. Da ciò deriva la diversa densità e il diverso ritmo fra la prima e la seconda parte. I topi, i ragni, la follia divertita del sensale, gli svenimenti e il nottambulismo della moglie di Utter, la rapacità delle piante carnivore mostrate dal seguace di Paracelso, il vascello fantasma con Nosferatu che si mimetizza fra le vele, la carrozza che si muove a tripla velocità, priva di cocchiere, sono tutte manifestazioni della diffusione di un demone invisibile o tuttalpiù camuffato (e qui Murnau è geniale nel mostrarci la sagoma dello spaventapasseri, scambiata per il sensale da un popolo in cerca di capri espiatori). Come in altri film di Murnau, anche qui i personaggi diventano talora simboli/sintomi di una pulsione latente. Come la femme fatale di “Aurora” fungeva da mero stimolo per sfogare la sensualità repressa di una moglie insoddisfatta, qui il Nosferatu scatena una serie di fantasmi sopiti nell’animo di una piccola borghesia dalla doppia morale: il ricco sensale (in realtà, un agente immobiliare) può così scatenare tutto il “vampirismo” insito nella sua attività commerciale,  mentre la moglie sfoga la sua sensualità repressa concedendosi al più diabolico degli amanti, arrendendosi di fatto ad una forza maligna dalla quale è impossibile salvarsi. Anche qui, come in altre opere del maestro tedesco, il lieto fine è solo apparente. Murnau suggerisce questi ed altri invisibili collegamenti, attraverso una regia sensibile alle psicologie, capace di sfruttare in modo raffinato ed ambiguo la tecnica griffithiana del montaggio parallelo, ribaltando la concretezza di corpi ed oggetti nell’astrazione dei sentimenti più profondi, dilatando il tempo fino a renderlo indefinito e mimetizzando i segni in modo che ogni immagine nasconda un secondo significato. Non credo sia casuale il fatto che, se all’inizio del film vediamo l’immagine del candido Utter (il Bene) allo specchio, nel finale vediamo ancora uno specchio riflettere, questa volta, l’orrida immagine del conte Orlock (il Male). Questa abilità nel giostrare i dettagli di una messinscena altrimenti statica, unita ad un utilizzo straniante del binomio giorno/notte, luce/buio, fa di quest’opera un testo degno di essere sviscerato a fondo, di quelli che, ad ogni ulteriore visione, offrono sempre nuove interpretazioni.

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