Regia di Wilson Yip vedi scheda film
Il seguito dell’esaltante film del 2008, basato molto liberamente sulla vita del reale maestro di arti marziali Ip Man, prosegue esattamente da dove si èra interrotto: la fuga con la famiglia verso Hong Kong e il tentativo di fondare qui una scuola di arti marziali dello stile Wing Chun della città di Foshan.
Il plot narrativo non si discosta molto dalle onnipresenti istanze nazionaliste del primo episodio, spostando l’azione in una città, Hong Kong, attraversata da tensioni e lotte fra poveri anche in ambito marziale, mentre l’egemonia economica occidentale la fa, più o meno velatamente, da padrone. Trama classica, quindi, che però scorre con leggerezza e senza mai appesantire la visione; raramente un eroe di arti marziali è stato rappresentato così bene, nella sua voglia di trovare una ragione alla sua forza, che non sia solo sconfiggere nemici a ripetizione, ma connotata dalla ricerca di un senso morale e comportamentale che dia un senso a questa letale forma di combattimento e che risvegli una nazione intera dal proprio torpore. La forza della pellicola è, ovviamente, nei mirabili combattimenti, leggermente più iperbolici rispetto al precedente film (coreografati ancora dall’ottimo Sammo Hung, che si ritaglia anche un ruolo da coprotagonista) e nell’ottima scelta, mi ripeterò, dell’attore protagonista; caratterizzazione azzeccatissima quella di Donnie Yen, seppur nella finzione cinematografica, di un maestro riluttante che viene sempre tirato nei combattimenti per i capelli, lui ne farebbe volentieri a meno: “Maestro, pensa che riuscirebbe a combattere contro dieci uomini ?” – gli chiede un suo allievo entusiasta, “la cosa migliore è non combattere affatto” – risponde, “E cosa farebbe se vi attaccassero degli uomini armati ?” e lui: “Scapperei..”. Il regista esagera un po’, a volte, nella negativa caratterizzazione degli occidentali, descritti come tutti senza onore né rispetto per la cultura cinese e per le sue tradizioni; tale scelta, forse realistica ma probabilmente dovuta alla necessità di creare la giusta contrapposizione scenica fra due mondi tra loro comunque distanti (o per sfuggire alla censura), sfocia a volte nell’eccessiva retorica, toccando l’apice nel finale (seppur controbilanciato dal divertente post-finale). Piccolo difetto, comunque, perdonabile in un film di arti marziali ove le tematiche tendono spesso a ripetersi.
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