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I colori della passione

Regia di Lech Majewski vedi scheda film

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La recensione su I colori della passione

di FilmTv Rivista
8 stelle

In una società che sciorina immagini continuamente (in un minuto un numero esponenzialmente maggiore di quelle prodotte nell’intero Medioevo), incapace di comprendere e pensare il visuale (perché figlia del testuale), Lech Majewski – scrittore di prosa e poesia, artista del video e della pellicola – persegue un’ostinata idea di cinema, salvaguardia di un antico ed eterno alfabeto visivo, aggiornamento all’avanguardia tecnologica. E se il suo capodopera, The Garden of Earthly Delights - girato e premiato in Italia, scandalosamente mai distribuito – era una commistione di film familiare e film d’arte, dove l’ossessione per Bosch si faceva atto d’amore in un viaggio al termine della vita, I colori della passione 3D è il frutto di un processo opposto, ricerca della vita all’interno dell’arte e, insieme, gesto di riqualificazione dell’immagine. Come, e più del Greenaway di Nightwatching, Majewski penetra in un quadro, Salita al Calvario di Bruegel il Vecchio, e lo anima: un sofisticato matrimonio di 3D, blue screen, fondali bidimensionali e paesaggi reali restituisce un tableau vivant popolato da 500 figure, attori che resuscitano l’occupazione, e la persecuzione, delle Fiandre da parte dell’esercito di Filippo II di Spagna, trasfigurata da Bruegel in un’opera religiosa e critica, ricontestualizzazione della Crocefissione nel tempo (e nello spazio) suo contemporaneo. Descrivendo il quotidiano di questa umanità con paradossale minuzia realistica, rifugiandosi nelle parole di un facoltoso collezionista d’arte (Michael York) per commentare quel presente, Majewski segue la Passione di un Cristo e la tragedia di una Madre (Charlotte Rampling), mentre Bruegel (Rutger Hauer) disegna e dipinge quel che i suoi occhi vedono, educandoci al proprio denso simbolismo e dipanandone la trama, divulgando un preciso modo di rappresentare il mondo, di interpretare l’Arte. Così I colori della passione 3D rilegge e rivivifica Bruegel: preservandone i volti e i luoghi, il rapporto tra mondano e sacro, i toni grotteschi e gli umori satirici, facendosi efficace opera didattica e straordinaria esperienza immersiva, atto di simbolico restauro e sperimentazione tecnologica. «Il cinema è un’arte troppo importante per lasciarla ai narratori di storie» diceva Greenaway. Majewski, fortunatamente, la pensa come lui.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 13 del 2012

Autore: Giulio Sangiorgio

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