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I colori della passione

Regia di Lech Majewski vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su I colori della passione

di alan smithee
8 stelle

Un'arte moderna e relativamente recente come il cinema non puo' non condividere una spiccata complicita' nei confronti di una disciplima antica come l'uomo, ovvero la pittura. 
Lo straordinario "affresco" cinematografico di Majewski ne e' la piu' evidente e sbalorditiva dimostrazione: un cinema girato dentro un quadro piu' che un semplice film sulla gestazione di una tela; uno studio approfondito in cui le ossessioni e lo spiccato spirito di osservazione del grande pittore fiammingo Bruegel vengono dimostrate come all'interno di uno dei suoi capolavori piu' noti (La salita al Calvario), come se la struttura "a ragnatela" della complessa moltitudine di gente che popola l'opera, nonché ogni minimo particolare paesaggistico, dalla celebre roccia su cui si erge il mulino al cerchio della morte, fossero davvero parte di un paesaggio vivente che l'autore si appresta quasi pedissequamente a rappresentare.
Ma nel'opera cinamatografica emerge pure la complessa ironia del grande pittore e il film si trova a dover rappresentare sia un paesaggio del (nel) contesto del quadro da cui e' tratto il soggetto, sia una passione di Cristo in cui i carnefici sono proprio quegli Spagnoli violenti ed arroganti che flagellavano le terre fiamminghe nella seconda meta' del 1500; e fra un Cristo che rimane anonimo e di secondo piano (proprio come nel quadro e nonostante la centralita' della sua figura, nel dipinto e nel film) sul popolo, sulla Madonna costernata, sui volti dei personaggi minori, si incentra l'opera di scavo psicologico dell'artista (e di conseguenza del regista), fino a salire su in alto, quando la macchina da presa ci conduce agile e determinata sulle pendici della rocca dove un Dio-mugnaio da inizio - la mattina presto, primo tra i lavoratori a levarsi in piedi - al complesso meccanismo che portera' alla macina del grano e alla produzione del pane della vita.
Siamo dalle parti del miglior Greenaway, di quel folle e geniale divagatore delle maniacalita' e fobie umane che ha da tempo capito che il cinema e' prima di tutto la nuova forma di arte visiva che puo' rendere prima di tutto giustizia all'immagine, anche a scapito del corso narrativo, che puo' essere comunque un optional importante ma non determinante.
E in tutto questo apparire, il bel volto nonostante tutto ancora giovane di un Rudger Hauer dai seducenti occhi cerulei, o quello della sofferta Madonna anziana di Charlotte Rampling o ancora quello imbolsito di un Pilato-Michael York che predica bene ma poi, come ben sappiamo, se ne lava le mani, sono splendidi dettagli tra i mille volti, tutti protagonisti, di una folla di oppressi ed oppressori che popolano in realta' non solo l'età di Bruegel o l'epoca di Cristo, ma tutte le epoche della infelice e corrotta esistenza umana sulla terra.

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