Regia di Andrés Wood vedi scheda film
Eccolo, un bel film. Di quelli magari da cercare tra le sale d’essai (ce ne sono ancora?) o periferiche, ma da non perdere. Violeta Parra. Went to Heaven (sottotitolo in inglese al solito autolesionista) racconta la storia straordinaria di un’artista unica nel suo genere. Quale genere? Qui sta il bello. Immaginate una Frida Kahlo capace di esprimersi come Janis Joplin (o viceversa) per farvi un’idea. Attraverso il raffinato lavoro del montatore di fiducia di Pablo Larraín, Andrea Chignoli, il regista Andrés Wood mette in scena un biopic anomalo. Punto di partenza un’intervista televisiva rilasciata dall’artista cilena (interpretata con perfetta mimesi da Francisca Gavilán) nel 1962, ideale per correre all’indietro, fino agli anni della sua infanzia, ma anche in avanti, a rotta di collo verso la fine dei Sixties, un decennio vissuto a tripla velocità. Il babbo insegnante alcolizzato l’abbandona in tenera età lasciandole una cosa sola: la chitarra. Da qui Violeta parte per un viaggio alla riscoperta del folk cileno, ispanico e mapuche (lei stessa è india per metà). Comunista, viene invitata in Polonia, si ferma in Europa, abita a Parigi per due anni, espone le sue opere (su tele di iuta intessute da lei) al Louvre (!) e vive una lunga storia d’amore con il musicologo flautista svizzero Gilbert Favre, al quale dedicherà cento canzoni (!!). Qualche eccesso melodrammatico c’è, ma sottilizzare sarebbe assurdo.
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