Regia di Andrés Wood vedi scheda film
Violeta Parra (1917-1967) era una musicista, cantante, pittrice, scultrice e poetessa cilena. E una donna moderna e indipendente. Eppure legata alla propria terra d’origine da un amore profondo ed assoluto. Nel corso della sua esistenza, contrassegnata da successi insperati ma anche da tanti dispiaceri, Violeta non ha mai smesso di cercare il suono della tradizione, quello che emana spontaneamente dall’anima di un popolo. Avrebbe buttato all’aria tutti i suoi straordinari talenti pur di poter stare in mezzo alla gente: quella da cui, fino all’ultimo, ha voluto attingere la straziante voce del dolore. Violeta aveva avuto un’infanzia infelice, segnata dalle intemperanze del padre, che era maestro di scuola ed amava la musica, però era un forte bevitore. Alla sua morte, gli averi della famiglia erano andati in fumo, e Violeta aveva potuto ereditare soltanto una vecchia chitarra scordata. Pur non avendo mai ricevuto una vera educazione musicale, da ragazzina aveva iniziato ad esibirsi per strada e nei locali per contribuire al sostentamento dei suoi numerosi fratelli. Poi, improvvisamente, il mondo si accorge di lei. Viene invitata a cantare in Polonia e le sue opere grafiche, realizzate con tecniche che spaziano dalla pittura al ricamo, vengono esposte al Museo del Louvre, nella sezione dedicata alle arti decorative. Tornata in patria, fonda, nei pressi di Santiago, un circolo culturale destinato ad ospitare complessi folcloristici della regione andina, ricevendo, almeno inizialmente, una risposta positiva da parte del pubblico. Nel frattempo, però, la sua vita privata procede tra mille traversie: le muore un figlio appena nato, i suoi due matrimoni falliscono, intraprende una relazione con un antropologo svizzero, molto più giovane di lei, che presto la abbandona. Violeta, ciò malgrado, continua a scrivere, dipingere, comporre, seguendo il respiro affannoso del tempo che passa, togliendole progressivamente le forze e la fiducia nel futuro. Finisce per sentirsi dimenticata da quella gente che tanto amava, e, dopo aver lanciato, con le sue ultime melodie, un potente grido di disperazione, decide di porre fine ai suoi giorni. Il film riproduce il ritmo danzante di un’inquietudine che imita il verso della natura per diventare armonia. Da bambina Violeta aveva imparato dal padre a fischiare come fanno gli uccelli, e la suggestione di quella musicalità primitiva, eppure così toccante, l’aveva convinta che l’espressione più autentica del sentimento non può essere filtrata dalla disciplina, perché deve essere lasciata libera di sgorgare dall’intimo, senza sottostare ad alcuna prescrizione. Sedetevi al piano e distruggete la metrica. Gridate invece di cantare. Soffiate nella chitarra e pizzicate la tromba. Odiate la matematica ed amate il turbine. La creatività è un uccello senza piano di volo, che non volerà mai in linea retta. Queste sono le esortazioni che Violeta rivolgeva ai giovani artisti. Il regista Andrés Wood dà, a quella viscerale vocazione al caos, la forma di una femminilità selvatica, forgiata dal vento e dalla polvere, ed avvolta in una ricercata eleganza di stracci e capelli arruffati. Una figura fatta per interpretare l’arioso fruscio del ricordo, che si fa bellezza ma racchiude il suono del pianto. Le sue canzoni ripetono l’eco mai spenta di una sofferenza universale, eternata dal male della povertà, e causata dalle ingiustizie perpetrate dai potenti. In Violeta, la tristezza urla, perché nasce dalla ferocia: quella con cui, in uno dei suoi brani più celebri, il gavilán, lo sparviero, attacca e divora una gallina, mentre questa tenta in ogni modo di sottrarsi al suo becco ed ai suoi artigli. È il pensiero marxista applicato al destino, alla natura, alla vita in quanto tale: ed è visto dalla prospettiva di una donna ribelle e combattiva, che ha sempre lottato disperatamente, ed alla quale, ciononostante, è stato tolto tutto. Violeta se fue a los cielos è la storia di una volontà inflessibile, che non ha mai rinunciato al diritto di scegliere la propria strada, anche a costo di violare apertamente le logiche del mondo. Ben sapendo che, se la gioia è una breve illusione, e la felicità è impossibile, l’onestà con se stessi e la fede nella propria unicità sono principi sempre validi: forse non bastano a riempire la solitudine, ma aiutano a dare comunque un senso al proprio percorso esistenziale.
Questo film è stato il candidato cileno al premio Oscar 2012 per il miglior film straniero.
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