Regia di Andrés Wood vedi scheda film
La sceneggiatura s’ispira alla biografia scritta da Angel Parra, figlio di Violeta, e vi resta sostanzialmente aderente, fatte salve le scelte di regia che prediligono la suggestione di un montaggio frammentato, nulla che sembri una laudatio post mortem o l’ ennesima biografia per immagini.
Andrès Wood appartiene alla generazione intermedia fra il Nuovo Cinema dell’era Allende dei vari Ruiz, Soto, Littin, Guzman e i trentenni dell’ultima generazione, quelli del Nuovissimo Cinema dell’Escuela de Cine de Chile di Santiago.
Wood non esce da quella scuola ma da un corso di cinema alla New York University, l’imprinting è però inconfondibilmente coerente con i loro stilemi.
Già con Machuca, Quinzaine des Réalisateurs a Cannes 2004, aveva dato gran prova di sé.
Nel 2011 Wood sceglie un mito, Violeta Parra, e la riporta in terra con la sua storia appassionata, i suoi demoni e quel canto che vola nel cielo.
Violeta se fue a los cielos vince nel 2012 il premio della giuria al Sundance.
La sceneggiatura s’ispira alla biografia scritta da Angel Parra, figlio di Violeta, e vi resta sostanzialmente aderente, fatte salve le scelte di regia che prediligono la suggestione di un montaggio frammentato, nulla che sembri una laudatio post mortem o l’ ennesima biografia per immagini. Non è una recita della memoria riorganizzata a posteriori, ma della memoria ha tutto il caotico e distorto affollarsi di richiami, snodi, libere associazioni e analogie.
E poi ci sono i silenzi fruscianti di vento e la pioggia sferzante degli altipiani, il lungo cammino di Violeta con la sua chitarra,i suoi piedi stanchi per città e pozzanghere...
…playas y desiertos, montañas y llanos,
Y la casa tuya, tu calle y tu patio…
e il chiasso delle osterie dove il padre adorato suonava e si ubriacava e lei, piccola e severa, gli bloccava con la manina le corde della chitarra, la povertà e la morte, la strada, quell’incontenibile demone interiore che si traduceva in musica, poesia, pittura, al di là di tutto, oltre ogni ostacolo frapposto da povertà, ignoranza, durezza a vivere da donna nella società degli uomini.
E il cuore che vibra di fronte alla bellezza…
Cuando miro el fruto del cerebro humano,
Cuando miro al bueno tan lejos del malo
e le sue grandi esplosioni di rabbia e di allegria affidate al canto, la sua ironia, il suo narcisismo e la sua semplicità. E la forza per amare …
Cuando miro al fondo de tus ojos claros
e la voragine del non essere più amata.
Tutto riesce ad esserci, in una teoria di immagini che va avanti e indietro nel tempo, seguendo un ritmo misurato dal calore di quella vita più che dallo scorrere degli anni.
Francisca Gavilàn interpreta con una non comune capacità di identificazione l’essere più intimo di Violeta, canta le sue canzoni con la stessa rabbia e dolcezza, ne ricrea lo sguardo appassionato sul mondo con spontanea naturalezza.
Violeta Parra se fue a los cielos è un film da cui si esce convinti di aver conosciuto un po’ più da vicino quella donna.
Quasi cinquant’anni fa un colpo di pistola fermò il suo tempo in quel tendone, fatto costruire sulle Ande, la tenda della Regina.
Un tendone povero, come aveva continuato ad essere la sua vita, nonostante i successi mondiali. Ma doveva essere la casa della musica e del popolo, lì si doveva raccogliere un patrimonio di storia cilena, quella che passa attraverso la musica, il linguaggio più forte di un popolo per parlare di speranza, amore, rabbia, miseria, lotta.
La sostengono i figli, arrivano artisti da tutto il mondo, c’è, fino a quando c’è, Gilbert Favré, il grande amore della sua vita.
Giovane, bello, musicista e antropologo, viene dalla Svizzera ed è suo lo sguardo claro .
Aspetto particolarmente qualificante di questo modo di far cinema che comincia ad arrivare fino a noi, sull’onda dei riconoscimenti internazionali, è questo superare i limiti tra finzione e documento, rappresentare la vita senza tentare di spiegarla, evitare la retorica delle immagini catturando l’essenza dei personaggi.
Violeta rinasce sullo schermo immune da agiografia memoriale, iconografia estetizzante, simbolismo vecchia maniera.
A cinquant’anni dalla sua morte prematura Andrès Wood ce la restituisce con tutta la verità della sua fragilità di donna che pure è forte, invincibile, ma ha spalle che sanno i cedimenti.
La lenta carrellata finale che si avvicina al suo viso triste, mentre il gruppo boliviano di Gilbert suona nella tenda è la prepazione della sua morte.
Violeta canta:
Maldigo la primavera
con sus jardines en flor
A la nube pasajera
la maldigo tanto y tanto
cuanto serà mi dolor…
La tenda è vuota, gocciola di infiltrazioni di pioggia, l’indifferenza generale è tanta, da troppo tempo.
Violeta sta morendo.
Gilbert va via, in Bolivia, altre donne, un futuro diverso, vuole figli.
"Si sta facendo tutto nero" gli aveva detto quando aveva capito che lo stava perdendo.
Uno sparo. Violeta muore.
Sui titoli di coda il suo ultimo canto.
Gracias a la vida que me ha dado tanto
Me ha dado la risa y me ha dado el llanto
Así yo distingo dicha de quebranto,
Los dos materiales que forman mi canto,
Y el canto de ustedes
que es mi mismo canto,
Y el canto de todos que es mi proprio canto
Il canto di tutti è il suo, e ancora canta per noi.
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