Regia di Radim Spacek vedi scheda film
Nella Cecoslovacchia del socialismo reale, la storia di Tomas Sykora, un dissidente, si incrocia con quella di Antonin Rusnak, un tenente della polizia di stato. La questione, tra i due uomini, perde ben presto la connotazione politica, per diventare una faccenda privata: Antonin, incaricato di svolgere indagini sull’amante di Tomas, la giovane operaia Klara Kadlecova, finisce per innamorarsene. I luoghi di questa vicenda sono quelli tradizionali del cinema d’oltrecortina: la fabbrica, l’ufficio dei servizi segreti, la casa coniugale, il circolo degli intellettuali. Dove si respira un’atmosfera decisamente rétro, intrisa dei fumi del disincanto: un’aria asfittica che per Antonin è tale in senso letterale, visto che la sua nuova passione, che così pesantemente interferisce con il suo ruolo professionale ed il suo rapporto con la moglie, gli causa frequenti crisi di panico, accompagnate da un forte senso di soffocamento. Un potere oppressivo condiziona il sentimento e il libero pensiero, comprimendoli dentro i circuiti dell’ipocrisia e della clandestinità. Il proibito e il falso sono complici nel minare i fondamenti dell’amicizia e dell’amore: lo spionaggio viola l’intimità, esattamente come la tentazione della delazione pone le basi del tradimento. Le logiche del regime si insinuano nei rapporti tra la gente comune, e la figura di raccordo è proprio lui, Antonin, il funzionario che entra in conflitto con l’uomo: quest’ultimo, stanco di essere sacrificato alla missione istituzionale, si ribella con una violenza primitiva, però, a sua volta, contaminata dall’arroganza tipica degli agenti del regime. Il protagonista soffre dell’inscindibilità di un paradosso, che lo vede, da un lato, fragile vittima di umanissimi desideri, dall’altro lato, freddo operatore di persecuzioni, minacce, torture. In lui il melodramma si avvale dei suoi ferri del mestiere: i pedinamenti, le lettere anonime, i rapporti segreti, gli interrogatori, le trappole. L’aggressione è, per Antonin, una pratica accuratamente preparata con la collaudata arma del sotterfugio, introdotta dall’allusione, portata a termine con tecniche di guerra. A regolare le sue relazioni interpersonali è la distinzione tra preda e persona non grata, che deriva dall’abitudine a catalogare e gestire le esistenze altrui. Un criterio di classificazione che riesce ad applicare a tutti, tranne che a se stesso: Antonin rimane impigliato nella propria contraddizione, che non è in grado di sciogliere, né di dominare: non è forte e sicuro di sé come Pavel Vesely, lo scrittore doppiogiochista, amico di Tomas ed informatore delle autorità, che vive la propria ambiguità con straordinario equilibrio. Walking Too Fast, andare troppo veloci, significa rincorrere gli obiettivi con l’istinto del cacciatore, che è puro impulso di cattura e di possesso, e non passa attraverso i labirintici filtri della mente e del cuore. Antonin si lascia trascinare dall’accelerazione irrazionale che la presenza di Klara ha impresso alla sua involuzione da individuo sensibile a pedina del sistema. Con questo film, Radim Spacek realizza un polar in cui la degenerazione morale non imbocca le solite strade della corruzione ideologica, della sete di potere, della brama di denaro, bensì si attacca direttamente alle viscere, rendendo l’anima ostaggio di un mostro a due teste: una sorta di ambivalente alienazione dalla realtà, che ora si chiama rabbia e delirio di onnipotenza, e un attimo dopo si chiama terrore e complesso di inferiorità.
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