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Doppio gioco

Regia di James Marsh vedi scheda film

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La recensione su Doppio gioco

di supadany
8 stelle

In un mondo che purtroppo regala sempre nuovi focolai di scontri, il fenomeno legato all’Ira ed agli atti terroristici in Gran Bretagna da tempo non è più caldo al cinema.

Ci pensa il bravo James Marsh a rinverdire la memoria con un film realmente teso, che non si ascriverà alla serie dei grandissimi, ma che riesce ad essere davvero conciso ed accorato in ciò che si prende la briga di raccontare.

Anni 90’, Collette (Andrea Riseborough) è un madre single militante dell’Ira, così come tutta la sua famiglia.

Quando viene arrestata a Londra dopo un attentato fallito, Mac (Clive Owen), agente dell’MI5, la convince a collaborare diventando l’unica persona che può tenerla in vita.

Collette è in pericolo, qualcuno presto sospetta che ci sia una talpa ed anche Mac fatica a proteggerla come le aveva promesso, ma farà di tutto per impedire che le sia fatto del male.

 

 

Pochi fronzoli, orpelli ridotti all’essenziale, concentrazione massima su due personaggi calibrati alla perfezione per fornire un punto di vista equilibrato, e senza sconto alcuno, da ambo le parti della barricata.

Quel clima di tensione prende quindi pieno corpo nell’opera di James Marsh, occhio lungo che nel passaggio dal documentario non perde i suoi connotati, anzi li vede arricchiti all’insegna di una storia potente, costantemente sostenuta dall’instabilità.

Da un lato Collette sempre col cuore in gola, dall’altro un impegnato agente che si scontra non solo con l’Ira, ma anche con la sua stessa organizzazione anti-terrostica per la quale gli informatori non sono nient’altro che nomi da spendere per la propria causa, senza alcun rimorso.

E’ un quadro duro quello che emerge, che da forma ad un thiriller avvincente e stimolante, una ricostruzione di una realtà nella quale gli uomini passano in secondo piano, tutto può mutare da un momento all’altro ed un telo per nascondere un cadavere accompagna i confronti più delicati, un monito raggelante più di mille torture.

Strepitosi i due interpreti principali; Andrea Riseborough ha una carica emotiva soggiogata di chi sa che potrebbe morire da un momento all’altro, Clive Owen trova uno dei ruoli migliori della sua carriera, solido, senza macchia, anche lui posto su di un filo teso che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.

Ciliegina sulla torta è poi il finale che non regala salvezza, che arriva al fulmicotone, che richiama supposizioni, e che lascia tramortiti, d’altronde è la Storia stessa, quella con la “s” maiuscola, a richiedere che sia così.

Si tratta dunque di un’opera di finzione con qualcosa in più (una visione col sapore di realtà), che sa ricreare un clima di lotta e morte all’insegna di un cinema impegnato, ma anche attento alla forma, sia per la ricostruzione di un pensiero/periodo/luogo, che per la qualità con la quale viene ripreso.

Considerevole.

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