Regia di Ben Affleck vedi scheda film
Il prologo, (relativamente) onesto ed asciutto, promette bene (perchè esprime - con l’eloquenza icastica che solo il cinema sa avere - poche crude verità che nessuna propaganda si dovrebbe permettere mai di infangare).
Poi però, appena dopo, ecco fare capolino proprio quella propaganda (decisa a perorare la sua discutibile causa); non quella tradizionale (più odiosa), però; bensì una di essa forma più velata e dimessa. Ma pur sempre propaganda; pomposa ed autocelebrativa (scena finale per credere).
E pur sempre pronta a riscuotere la ricompensa.
Argo non è semplicemente un film “furbo” (fosse solo quello). La sua “colpa” principe è, infatti, di essere un film assai “bruttino”. Ovvero un film piatto, scialbo, cadenzato da un ritmo esangue (eccettuato il fervore delle prime scene e quello finale, di cui fra breve) che non consente (fatta salva la prima scena, per l’appunto) di suscitare entusiasmo (che dico; anche solo un po’ di coinvolgimento) neanche per un secondo.
Tutto è rimesso alle scene conclusive (quelle all’aeroporto), dove un crescendo di ritmo e di tensione prova ad smuovere le membra intorpidite dello spettatore semi appisolato (il sottoscritto), salvo cadere vittima del vizio opposto (l’eccesso quasi farsesco), ugualmente risibile.
Un film, peraltro, vittima della recitazione fiacca del duo Arkin/Goodman e di quella terribilmente monocorde dello stesso Affleck.
Ecco, a proposito di quest’ultimo “attore” è lecito spendere altre due parole. In più di un’occasione (Will Hunting per tutti) io sono riuscito persino a metterci la faccia pur di salvare la sua. Pur di apprezzarne lo sforzo (recitativo). Ma stavolta no.
Stavolta Affleck depenna con forza tutta la maturità che aveva dimostrato nelle pellicole precedenti (principalmente da regista). Stavolta la sua puerilità fa davvero pena. Come quando, sull’aereo del ritorno a casa, la (sua!) telecamera fa sì che il suo sguardo teso cerchi subito, per primo, quello di riconoscenza di quello che era stato, del gruppo, il più diffidente (segno che tradisce la tensione per il suo stesso timore che possa essere fiutata - e rifiutata - la sua “fregatura”).
Ecco spiegata la delusione per questo film. Argo non è una semplice americanata old style (anni ’70 per la precisione), bensì è una fregatura, anzitutto, per l’Academy ed i suoi “prestigiosi” membri (reinterpreti inconsapevoli del ruolo scomodo che fu dei burberi e barbuti iraniani, caduti come una pera cotta). Ma, d’altro canto, a Hollywood si era presentata la ghiotta occasione di poter dimostrare al mondo intero come persino dietro i suoi flop (l’Argo dell’epoca) potessero nascondersi operazioni di successo; di cui vantarsi con orgoglio anche a distanza di decenni (insomma, che pure la sua mer** è dorata!). Come non coglierla al volo?
In sostanza: mordente pari a zero.
Ritmo da cardiopalma… ma al rovescio!
Regia spenta e montaggio (si dica quel che si vuole) mediocre.
La tensione incalza fuori tempo massimo (e, comunque, senza ritegno dell’assurdo).
E gli U.S. (in un modo o nell’altro) vincono sempre.
È proprio il caso di dirlo: “Argo vaffa*****”!!
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