Regia di Ben Affleck vedi scheda film
Si comincia bene con il logo vintage della Warner su fondo rosso che avanza verso lo sguardo. Un tuffo indietro nel tempo e una dichiarazione d’intenti. Cinema come si faceva una volta. Costruito sugli attori - eccezionali Alan Arkin e Tate Donovan - e la precisione dei dettagli. Congegno narrativo a orologeria, Argo è un thriller politico vintage. La crisi degli ostaggi americani all’indomani della conquista del potere da parte di Khomeini in Iran è proiettata da Affleck sullo sfondo attuale del Medio Oriente: un errore tragico ne provoca un altro. Agile e claustrofobico, mette in scena la fine di un mondo che non comprende cosa gli accade intorno. La maturazione registica di Affleck è indiscutibile, il controllo degli elementi magistrale. È evidente però che, rispetto al precedente The Town, si mira consapevolmente in alto e questo qualcosa al piacere, inevitabilmente, sottrae. Rodrigo Prieto, pur non essendo un Harris Savides, si muove con grande lucidità fra le scenografie dell’ottima e abituale Sharon Seymour. Come un incrocio fra Matinee di Joe Dante e Syriana con Clooney, Argo intreccia il gioco delle ombre della politica con quelle elettriche del cinema. Un vertiginoso gioco degli equivoci dove apparire è esserci. Affleck interprete offre un saggio attoriale all’insegna della sottrazione, esaltato nel finale da un montaggio parallelo che tiene incollati alla poltrona. Però, come twittava Bret Easton Ellis, peccato che questa tensione ceda nei numerosi sottofinali.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta