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Argo

Regia di Ben Affleck vedi scheda film

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La recensione su Argo

di barabbovich
8 stelle

Antefatto: negli anni '40 Stati Uniti e Inghilterra, per ragioni legate agli interessi petroliferi, piazzarono al potere Mohammad Reza Pahlavi, che, salito sul trono a soli 22 anni, fu l'ultimo scià di Persia e governò l'Iran dal 1941 al 1979, anno nel quale scoppià la rivoluzione khomeinista.
Dopo i prescindibili Gone baby gone e The town, nel terzo film da regista di Ben Affleck la storia comincia da questo punto, ossia quando l'ambasciata americana a Teheran viene presa d'assalto e i diplomatici che vi risiedono, proprio mentre stanno frettolosamente cercando di far sparire le prove delle gravissime responsabilità della connivenza del governo americano con Pahlavi, vengono portati via, processati e giustiziati. Sei di loro, tuttavia, riescono a mettersi in fuga e a trovare un rifugio provvisorio in attesa che da Washington (siamo ai tempi della presidenza Carter) la CIA riesca a far qualcosa per riportarli a casa. L'operazione di intelligence viene affidata a Tony Mendez (interpretato con la consueta inespressività dallo stesso Ben Affleck), il quale ha la geniale idea di farli passare alla dogana in veste di membri di una troupe canadese che sta facendo dei sopralluoghi per girare un film di fantascienza, allestendo tutto fin nei minimi dettagli.
Il film che si è aggiudicato 3 oscar (miglior film, miglior sceneggiatura non originale e miglior montaggio) grazie soprattutto a un'originale idea di cinema come fabbrica dei sogni, trova nel montaggio (opera di William Goldenberg) il suo elemento di maggiore interesse. Il continuo rimbalzo tra Washington e Teheran, gli in­serti con i bambini affaccendati a ricostruire i volti delle foto dei diplomatici americani passate al distruggidocumenti, il sottofinale da extrasistole (ce la faranno? Non ce la faranno?), i militari kohmeinisti che prima se la bevono e poi si lanciano alla rincorsa dei fuggitivi sono tutti elementi assemblati con grande maestria e indubbio senso della suspense. Che poi per vincere un Oscar qualche strizzatina d'occhio al patriottismo e alle virtù della famiglia sia quasi un diktat, beh, è risaputo.

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