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Argo

Regia di Ben Affleck vedi scheda film

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La recensione su Argo

di alan smithee
6 stelle

Argo è un film ben fatto: una doverosa accurata documentazione storica precede l’avvio della vicenda predisponendo anche lo spettatore meno informato a calarsi con sufficiente coerenza nel contesto storico travagliato e drammatico di uno dei paesi tradizionalmente più infuocati e funestati da tensioni sia interne sia con l’infedele eretico Mondo Occidentale. Solo dopo questa valida premessa documentaristica ha inizio la vicenda, incentrata su un complesso, ardito e fantasioso tentativo di liberare alcuni membri dell’ambasciata Usa in Iran, fuggiti dopo esser stati tenuti in ostaggio da una milizia  che sostiene i moti insurrezionali che hanno caratterizzato, nel ’79, il periodo post Shah Reza Pahlavi prima dell'insediamento di Khomeini.
Un piano machiavellico e apparentemente folle, almeno sulla carta, con il quale un giovane brillante membro della Cia riesce a venire a capo della spinosa controversia simulando l’entrata nel paese, sconvolto dalle rivolte, di una troupe cinematografica intenzionata a girare gli esterni di un bislacco quanto improbabile colossal fantascientifico.
Tutto follemente vero, come il film non manca con una certa ossessione di farci notare, documentandoci pure alla fine il commento a tal proposito dell’allora presidente coinvolto Carter, e concentrandosi molto (troppo) sulla straordinaria somiglianza fisica dei protagonisti di quella disavventura (clamorosamente ed inquietantemente identici ai protagonisti veri).
Al suo terzo film Ben Affleck (che si ritaglia pure il ruolo del protagonista sfoggiando una zazzera corvina vagamente posticcia che ricorda il cagnetto simpatico di Robert Wagner e Stephanie Powers in “Cuore e batticuore”) conferma in pieno di aver trovato nella regia il modo più appropriato per esprimere il suo talento, mortificato - ammettiamolo senza acredine - da capacità recitative piuttosto limitate (senza voler essere cattivi o antipatici, basti confrontarlo con la mimica facciale del ben più dotato e nonostante ciò meno famoso e divo Casey - fratello nella vita - per fugare eventuali dubbi sulle differenti capacità espressive dei due).
Qui l’operazione è ancora più ambiziosa rispetto ai due precedenti riusciti progetti di Affleck regista e, per tematiche e stile con cui è affrontata la vicenda, riconosciamo al regista una professionalità non comune che cavalca le orme di un buon cinema d’impegno e passione che personalmente ci ricorda sia lo scrupoloso Alan Pakula di metà anni ’70, sia il recente calligrafico ed impegnato Clooney (che guarda caso figura tra i produttori). Simpatici, anche se spesso a rischio “macchiettismo”, gli unici altri divi coinvolti nell’operazione, vale a dire il sempre ironico e spiritoso Alan Arkin ed il massiccio ed eccezionale John Goodman.
Certo poi tutta questa ossessione per l’aderenza fisica degli attori ai loro originali mi sembra, come già accennato poco sopra, eccessiva e superflua, così come tutto il sentimentalismo piuttosto fastidioso e posticcio (ma irrinunciabile evidentemente per questi ingenui americani) che infarcisce troppi sottofinali, dopo una adrenalinica ed avvincente parte conclusiva di ambientazione aeroportuale.

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