Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Un presupposto del Realismo è la considerazione di un fatto qualunque, preso come straccio di realtà immediata e improvvisa, messo davanti al proprio sguardo e raccontato in maniera impersonale, senza prendere nemmeno in considerazione i punti di vista dei personaggi presi in considerazione (vedi il Neorealismo italiano) e semplicemente osservando. Ecco che Béla Tarr, al suo esordio alla regia, sembra essere passato per caso accanto a una finestra, magari con la sua macchina da presa, abbia deciso immediatamente di intrufolarsi dentro un ostello probabilmente unito a un'industria siderurgica, e abbia deciso di riprendere ciò che ha visto, un uomo che, in preda a un litigio e a un confronto senza guardare in faccia a nessuno, viene incitato ad andarsene. Avvicinandosi ai volti, come aveva fatto il ben più estremo Warhol, ma incentrandosi su un argomento principale (fattore che forse contraddice leggermente le premesse realistiche), Tarr possiede già in Hotel Magnezit un suo obbiettivo, una sua tematica: quella del confronto umano. Il suo intero cinema è un degrado graduale e intollerabile verso la mancanza di significato e lo svuotamento di quegli spazi che circondano gli esseri umani, quindi lo svuotamento di quella dimensione relazionale che già in Nido familiare si tradusse nei rapporti familiari e in L'outsider nei rapporti con l'intera società. In Hotel Magnezit sta la scintilla d'inizio, la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno: esplodono urla e insulti, tra l'anziano operaio e i più giovani che lo circondano, e senza esclusione di colpi vediamo entrambe le parti deridersi e prendersi a parolacce azzerando un rispetto reciproco assolutamente improbabile già da allora. Mentre infatti termina il ritegno nei confronti di una generazione precedente, tutta la gioventù che circonda il protagonista pone fine alle convenzioni sociali, distruggendo la natura stabile dei rapporti umani specie in un luogo come l'industria in cui tutto è volto verso la disumanizzazione e l'alienazione. Parlare di dieci minuti appena di mondo ungherese vuol dire già nel '78 per Béla Tarr osservare l'uomo, scandagliarne l'interiorità, senza scavi psicologici né, almeno perora, sperimentazioni catatoniche, ma osservando con apparente freddezza una realtà che si spiega da sola, si rivela davanti ai nostri occhi e lascia trapelare un pessimismo importante e che (ancora) non ha assunto proporzioni metafisiche.
Si conosce spesso solo il Béla Tarr del futuro: è bene ricordarsi invece di questo primo Béla Tarr, che rivela la natura profonda del suo sguardo filmico, l'interessa entomologico e preciso nei confronti dei rapporti umani. Da allora le sue pellicole pulsano di vita propria, anche di fronte all'approcciarsi del nulla.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta