Regia di Béla Tarr vedi scheda film
Il giovane Bela Tarr era un fan sfegatato di Fassbinder. Non si direbbe proprio. :-) Ammirava anche Cassavetes, che di fatto è l'unico referente per questa sua operetta di fine anni 70, quando non aveva ancora elaborato la sua proverbiale estetica della durata, fondata su avvolgenti piani-sequenza. Tuttavia, già in questa sua acerba prova, emerge una cura di luce ed inquadratura inaspettata per un seguace dell'iperrealismo cassavetes-iano. Laddove il maestro indipendente americano proponeva una messinscena anarcoide, con bruschi stacchi al montaggio, inquadrature irregolari, sfocature etc...Bela Tarr centra sempre l'obiettivo della mdp, taglia le immagini e muove la macchina secondo un'armonia dettata dalla pietas nei confronti dei suoi personaggi, ora meschini ed ipocriti, ma capaci anche di svelare drammaticamente le loro fragilità. E si scopre che i loro problemi sono in gran parte causati delle ristrettezze economiche di cui sono vittime: salari bassi, alloggi precari, sacrifici necessari, pastoie burocratiche. Attraverso questa radiografia di dissidi inter-generazionali, emerge un quadro poco rassicurante del welfare comunista magiaro. Nonostante le evidenti differenze fra questo film e le opere che Bela Tarr avrebbe realizzato un decennio dopo, già si riscontrano alcune caratteristiche peculiari, come il primo piano soffocante, l'improvvisazione "etilica", la latente misoginia...
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