Regia di Ken Loach vedi scheda film
Non sempre tutto è perduto, ovvero la fiducia nei giovani, anche in quelli più disperati, di Ken Loach
I giovani ad alto rischio di devianza – quelli che, nelle periferie urbane, si sono fatti le ossa per sopravvivere – sono dappertutto visti con diffidenza, dato che la loro vita irregolare è spesso fatta di risse, di furti, di violenza, che vivano a Milano, a Parigi o a Glasgow, come i quattro protagonisti di questo film.
I tentativi di far accettare a questi ragazzi un lavoro utile alla società, nonché un modo di vivere più civile, spesso si scontrano con la loro ignoranza profonda e con la loro tendenza a scambiare il coraggio con l’aggressività, la giustizia con la vendetta. Qualche volta, però, basta la fiduciosa e generosa comprensione di qualcuno per sloccare situazioni senza apparenti vie d’uscita.
Questo è accaduto a Robbie, il ragazzo scozzese che, fra i balordi del film, appare come il più disperatamente irricuperabile, per i reati gravi che ha già commesso e che gli hanno fatto precocemente conoscere la galera: le prime scene, ambientate proprio nell’aula del tribunale di Glasgow, quando giudice e avvocati decidono oltre che del destino di disgraziati come lui, anche del suo, ci descrivono subito il personaggio.
E’ impulsivo, violento, viene volentieri alle mani, sia per le provocazioni che gli arrivano da una banda del quartiere che lo ha preso di mira, sia perché è così di suo, per storditaggine: spesso, strafatto di cocaina, scambia per realtà i suoi fantasmi e le sue paure e mena colpi all’impazzata, provocando ferite vere e dolori profondi.
Ha però, a differenza dei suoi compagni del programma di recupero, motivazioni forti per cambiare la propria vita: ama una ragazza per bene, che ora lo ha reso padre di un bambino: per loro, per la responsabilità che ora finalmente sente, è disposto forse a lasciarsi guidare.
Il lavoro cui è stato condannato, sostitutivo di una durissima pena, non sarà forse socialmente utilissimo, ma lo mette a contatto con realtà positive, con ambienti diversi da quelli cui è abituato e con persone diverse, come Harry, l’operatore assistente che lo accetta com’è e prova per lui compassione vera: ne intuisce il dramma e vuole aiutarlo.
La sorpresa del film, che diversamente sarebbe un film triste e, come dice il grande regista, molto prevedibile, sta nell’aver introdotto un elemento bizzarro nella narrazione, il vero deus ex machina capace di sciogliere i nodi del racconto: il wisky, il vero wisky scozzese, quello delle Highlands, torbato e salino nel sapore, quello che, prodotto con cura nelle distillerie, diventa con gli anni, dopo aver perso l’elemento iperalcoolico che lo renderebbe imbevibile (la parte che evapora, quella degli angeli, appunto) un nettare prezioso, che il nostro Robbie, raffinando i propri sensi impara rapidamente a riconoscere e apprezzare, bella metafora allusiva dello sgrezzarsi dell’animo e del raffinarsi del suo sentire.
Gli occorrono però, oltre a un lavoro, che troverà sfruttando la propria nuova competenza di insuperabile sommelier, anche i denari per mettersi in salvo, lontano da Glasgow e dalla guerra per bande della sua periferia. Per questo organizzerà, a fin di bene, con i suoi compagni balordi, un ultimo colpo, che si svolge fra difficoltà e rocamboleschi accadimenti, secondo una struttura presa a prestito dalle favole (peripezie dei personaggi per arrivare a un oggetto molto prezioso in grado di mutare, per il suo valore, la vita di chi riuscirà a impadronirsene) che imprime un vivace e interessante sviluppo a tutta la narrazione e che fa assumere all’intero film un bel carattere fiabesco e ottimistico, che mi ha ricordato un po’ il nostro Pasolini di Una vita violenta.
Grazie, come sempre, al grande Ken, socialista umanista e tollerante; grazie agli attori di strada che hanno interpretato benissimo soprattutto se stessi.
Il film à ora visibile gratuitamente cliccando QUI
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