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La parte degli angeli

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su La parte degli angeli

di Kurtisonic
6 stelle

Commedia agrodolce firmata Ken Loach che a sorpresa realizza uno dei suoi consueti spaccati  sociali, risultando più equilibrato e obiettivo senza che rinunci alle proprie manifeste posizioni ideologiche. I protagonisti sono sempre gli stessi, in tuta e scarpe sportive marca tarocco, i sottoproletari destinati al lavoro che non c’è più, che non hanno altro da fare che bere e fare a botte. Ken Loach li ama, li coccola, ma non è poi così incondizionatamente propenso a proteggerli in maniera indistinta come quando in tanti lavori precedenti ha riunito intorno agli stessi valori di classe una piccola massa  rappresentativa del mondo degli sfruttati. La chiave del film è racchiusa nella frase pronunciata da due personaggi propensi ad aiutare disinteressatamente il prossimo, affermando che nella vita si può offrire un’occasione all’altro. Usando un linguaggio vicino alla commedia e con toni ironici e talvolta divertenti, dalla drammaticità più sfumata ma ben presente all’interno dei personaggi, Loach descrive i suoi soggetti senza pietismi e senza attenuanti. Essi rivelano la loro precisa realtà, mostrano le condizioni alle quali devono sottostare per sopravvivere, Loach li marca implacabilmente, mette in chiaro le loro frustrazioni, le debolezze, i piccoli desideri, le scarse capacità relazionali. Non è un’umanità che si stordisce romanticamente verso le luci immaginarie del cielo, alla Kaurismaki, sono uomini e donne incapaci di guardarsi negli occhi, si guardano piuttosto la punta dei piedi alla ricerca di qualcosa su cui sfogare la rabbia. Loach fa una netta scelta di campo all'interno del suo mondo di prevedibili sconfitti, concede ad uno dei suoi eroi la possibilità di cambiare qualcosa della propria disgraziata esistenza, non per diritto di classe ma chiedendone uno scatto morale, rappresentato  dal taglio con il passato burrascoso. Il prescelto non è meglio o peggio dei suoi simili, semplicemente l’occasione di riscattare la propria vita capita a lui. Fra sorrisi amari, nasi pesti e sanguinanti, il regista denuncia la povertà di questa società artificialmente luminosa e costruita per pochi. Ci introduce in un ambiente scenico inusuale, quello dei selezionatori e degustatori di wisky pregiati, Loach non si dilunga a scandagliare la realtà complessa (quella dei bevitori, intendo). Con il suo stile scarno e privo di ogni spettacolarità lascia che la storia s’imponga, come una piccola  e moderna favola, distante dal bisogno di omologazione, ma da raccontarsi alla sera, perché le rivoluzioni prima o poi succedono.   

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