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La parte degli angeli

Regia di Ken Loach vedi scheda film

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La recensione su La parte degli angeli

di Baliverna
8 stelle

Un gruppo raccogliticcio di scalcinati ladruncoli decide di rubare una botte di whiskey che vanta un valore a 6 zeri.

C'è più violenza in un film di Ken Loach o in uno sul Vietnam? Non solo quella fisica, ma anche quella morale, sentimentale, verbale. La domanda è tutt'altro che scontata, ritengo, ma questo è un po' diverso dal tono medio dei film del regista inglese: c'è una storia che parte dal disagio sociale venato di violenza, ma poi spicca il volo verso un destino che inizia, almeno, ad essere diverso. In questo Loach riscopre un moderato ottimismo, che aveva già fatto capolino in pellicole di molti anni addietro (come “Piovono pietre”), e un certo leggero umorismo tipicamente inglese.(come in “Riff raff – Meglio perderli che trovarli).

Quando Loach non mi tira pugni nello stomaco con le sue storie dalla disperazione più nera, lo apprezzo proprio.

Il protagonista è un ragazzo dal passato turbolento: sempre dentro e fuori di prigione, e sempre a rischio di tornarci. Tuttavia arde in lui un desiderio di riscatto, incostante e fragile, che pure però riesce a contenerlo quando scatenerebbe una nuova rissa, o farebbe un'altra spedizione punitiva verso qualcuno di quell'ambiente. Quando lui non ce la fa proprio, e i gorghi del passato sembrano risucchiarlo, un addetto alla libertà vigilata, dai modi spicci, ma dal cuore buono, gli dà quel tanto di aiuto e soprattutto di fiducia che lo sostengono a fare passi concreti verso un futuro migliore. Il film sembra proprio puntare il dito verso quell'atteggiamento mentale secondo cui uno come lui è, e sarà sempre un avanzo di galera, un buono a nulla, un mascalzone, e via dicendo, che è forse l'ostacolo maggiore sulla strada del cambiamento. Mentre invece tutti hanno diritto di cambiare e migliorare, se solo lo decidono.

Il regista è bravo nel presentarci ritratti umani convincenti e veri, privi di buonismo o di stereotipi, come anche di rappresentare in modo credibile l'interazione tra di essi. In ciascuno del gruppo si vede quanto sia difficile tagliare con il passato criminale, come i vecchi vizi bussino alla porta ogni cinque minuti, chiedendo di essere assecondati, e la via della redenzione sia irta e piena di buche. Mi è piaciuta anche la caratterizzazione di personaggi secondari, come l'agente a caccia di bottiglie d'annata da rivendere a ricchi capricciosi.

Loach, secondo me, gioca anche con le attese dello spettatore: alzi la mano chi non si aspettava che venissero fermati dalla polizia, con tanto di alcol-test, quando si mettono in viaggio brilli e alticci; o che venissero sorpresi di notte nella distilleria.

Non mancano, infine, le annotazioni, indirette, del regista inglese sull'enorme disparità sociale, tra i molti che sono come cani famelici a cui viene gettato qualche osso e brandello di carne, e i pochi che nuotano nell'abbondanza e si possono permettere di fare i collezionisti di whiskey d'annata.

L'episodio migliore, per originalità narrativa e suspense, oltre che umorismo, e quello dei poliziotti che controllano il gruppetto appena rientrato a Glasgow.

Ken Loach sa sicuramente dirigere un film, solo che a volte, secondo me, gli piace sbattere in faccia allo spettatore un nero pessimismo, quasi in modo sadico. Qui e in qualche altro caso, invece, trova un felice equilibrio tra constatazione del male e caparbia volontà per un possibile riscatto.

Consigliato anche agli estimatori ed intenditori di whiskey.

 

 

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