Regia di Sergio Corbucci vedi scheda film
Era tosto emanciparsi dalla farsaccia da caserma dei Cicero e dei Tarantini oggi troppo rivalutati ed era tosto cercare di metter su una commedia credibile tra la fine dei settanti e l’inizio degli ottanta, se non avevi la coscienza civica di Ettore Scola, l’estro di Mario Monicelli o l’originalità di Dino Risi. Sergio Corbucci è stato un grande professionista e un diligente mestierante, i suoi film più belli sono un western (Il grande silenzio) e un giallo (La mazzetta), perle perse in una filmografia frenetica e piena di film mediocri.
Come questo, che riprende una vecchia commedia di Aldo De Benedetti già portata sullo schermo da Nunzio Malasomma negli anni trenta: era il periodo in cui si credeva di rinnovare la commedia servendosi della tradizione, dimenticando che il cinema dei telefoni bianchi (a cui questa pellicola si ispira palesemente), a parte qualche eccezione, generò soprattutto film scadenti, e rimuovendo la dimensione circostante e il contesto storico.
Pochade teatrale datata, è simile al medio Amori miei di Steno (sempre sceneggiato da Iaia Fiastri) ma è fondamentalmente banale, noioso, dimenticabile. Nota lieta: la luminosa fotografia di Luigi Kuveiller. Monica Vitti e Gigi Proietti mostreggiano alla grande; Johnny Dorelli, il re del genere (una specie di commedia sofisticata borghese e frivola), si destreggia con mestiere; Franca Valeri fa macchia da grande, ironica signora della recitazione.
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