Regia di Martin McDonagh vedi scheda film
Se Tre Manifesti vi sembran pochi, Sette Matti son senz'altro meglio...
Procedendo a ritroso nella conoscenza di Martin McDonagh (in concomitanza del suo acclamatissimo "Three Billboards" tutt'ora sull'onda di garantiti successi presenti e prossimi-futuri, e del quale ho già espresso la mia opinione non troppo entusiasta su queste pagine), devo dire che questo "Seven Psychopatichs" è di gran lunga il suo film migliore. Anche in "In Bruges" come sarà in "Three Billboards", McDonagh si dimostra, per i livelli a cui aspirerebbe (ovvero per i livelli a cui critica e pubblico vorrebbero ieri e oggi levarlo), incapace di saper tenere i fili della narrazione senza dover ricorrere di tanto in tanto ad escamotages improbabili ed inadeguati, come quando, camminando su un selciato, ci si imbatte improvvisamente in qualche mattonella semi divelta, perdendo per un attimo l'equilibrio.
In questo suo lavoro di mezzo, invece, venendo a mancare la necessità di procedere in maniera lineare e/o logica grazie ai continui innesti/intrecci tra la narrazione della vicenda "reale" e quelle "di fantasia" che costituiscono il libro che il protagonista sta scrivendo, ecco che la genialità del regista londinese (per fortuna libera, al tempo di uscita del film, da quei riferimenti al cinema dei Coen che, per parte mia, molti teorizzano oggi sulla scia di "Three Billboards", in positivo od in negativo, solo per farsi piacere ed esaltare il film ad ogni costo...), si esprime in tutte le sue potenzialità migliori, in termini di ironia, fantasia, violento divertimento puro. Lo stesso Sam Rockwell, ad esempio, che nei panni dell'agente Dixon in "Three Billboards" aveva dovuto subire l'ambiguità di un personaggio che doveva sembrare cattivo senza doverlo poi essere (sempre per quel "difetto di tenuta" di cui sopra), in questo "Seven Psychopaths" può invece esprimersi con una prova magistrale.
Un valore aggiunto, poi, e non da poco, il contributo dato da Cristopher Walken (a proposito: com'è che, tre film su tre, a partire da quello in cui era esordiente, McDonagh riesce ad avvalersi di tutti questi super-attori?), la "faccia da cinema" più grande che il cinema contemporaneo abbia mai avuto, indispensabile contraltare alla faccia di Colin Farrell che, per fortuna, ci è stata risparmiata almeno in "Three Billboards".
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