Regia di Meng Hua Ho vedi scheda film
(...) quando Cheng Pei-Pei, cioè l'attrice migliore che il cinema hongkonghese abbia mai avuto, mi chiese di prepararle un buon film, io pensai ad un soggetto dove il cavaliere invincibile fosse lei.
Poi lo proposi a Run Run Shaw che ne fu entusiasta: nel cinema e nel teatro cinese, il protagonista principale è sempre stato una donna.
Chiamai quel film Lady Hermit e dipinsi un personaggio completamente diverso dall'amazzone o dalla virago. Dipinsi una donna che s'innamore, che soffre, che ricama fiori delicatissimi, che accarezza dolcemente il suo gatto, che sorride con civetteria all'uomo che ama.
Poi sradica alberi, trasporta i tronchi sulle spalle e si costruisce una casa, affronta da sola cento mascalzoni armati fino ai denti, distrugge a ammazza il Cattivo Principale. Beh, credo che ne sia uscito un personaggio squisito, soprattutto grazie a Cheng Pei-Pei, che è una grande ballerina e che nel gongfu è riuscita a mettere l'eleganza che il gongfu deve avere. I suoi balzi son voli d'angelo. Le sue capriole sono tenerezze di un gatto. E, quando usa la spada trinciando teste e piedi, sembra una dea vendicatrice (...).
(intervista a Ho Meng-Hua, in La lotta che uccide, pag.33, citata nel libro di R.Esposito "Il cinema del kung fu" a pag.110)
Riguardo ai film di kung-fu, mi ha spesso tormentato il paragone col western. Non ho mai saputo giustificare interamente il mio amore per i primi. Un conto è soffermarsi e godere dell'elemento "di grazia", che tanto mi attira nel caso la protagonista sia una donna. L'aspetto legato alla coreografia può certamente essere un buon motivo per amare i film di kung fu, ma come passare sopra a certe manchevolezze?
Si tenga presente che molti film della Shaw Brothers (anche The Lady Hermit è Another Shaw Production, l'ultima per Cheng Pei-Pei), furono realizzati con grande fretta.
Ho il sospetto di essere spesso ricorso all'autoinganno, pur di realizzare il mio sogno di trovare nel kung fu movie quello che ho spesso trovato nel western. Non li ho mai reputati dei grandi film, neppure nei casi più famosi come Le implacabili lame di Rondine d'Oro (Come Drink With Me, 1966), di King Hu, per citarne uno. Forse non ho mai davvero amato il genere, quanto piuttosto ho spesso sognato di poterlo amare, per trionfare in una specie di estasi "inventata" e totale, che comprendesse le mie adorate eroine, unite ai migliori elementi del mito western. In un momento di megalomania acuta, vedo il film di kung fu come un'opera di Wagner (mamma mia, che cose che penso prima ancora di dire! - ma voglio esser uomo, e dire la verità).
Il libretto, che mi narri le gesta di Lady Hermit, della Geisha dalle Mani d'Acciaio... che la musica, mi arrivi con la potenza ed intimità al tempo stesso, del Preludio del Parsifal.
Il film di kung fu, in un certo senso, ha sempre rappresentato il mio sogno proibito di romanticismo estremo di una storia di sacrificio interiore.
Forse è il mio animo di ingenuotto che anela senza posa alla storia dell'uva.
Ho bisogno - come di una droga benefica - di pellicole che trasformino il latente potenziale, che scorgo nella figura della donna abile nelle arti marziali, in una forza attiva che usa, ma trascende, il semplice lato "di grazia".
Fu soltanto vedendo Hero (2002), di Zhang Yimou, che capii che il sogno si sarebbe potuto trasformare in realtà. Hero non è un film di kung fu in senso stretto come questo, a mio parere è una delle più riuscite riflessioni in immagini sulla necessità del raggiungimento della coesione interiore - far fare amicizia ai nostri pezzi sparsi - espressa attraverso un assunto, subito negato ad un livello, per traslarlo ad un altro. Tuttavia, utilizza degli elementi di genere wuxia.
Cosa impedisce a questi film, di riuscire dei capolavori che usano spade, kung fu e foreste di bambù, al posto di winchester '73, colt '45 e la Monument Valley?
Mi sono spesso lacerato nella speranza di vedere utilizzato appieno il potenziale femminile (non femminista) che questo genere di film offre da sempre (sul web, nei siti che li pubblicizzano, si leggono frasi che ricordano che solo per l'Occidente ha rappresentato una novità, introdotta più o meno ai tempi di La tigre e il dragone di Ang Lee - non tenendo conto della produzione disprezzatissima, a partire dai titoli che noi italiani gli affibiavamo, arrivata da noi negli anni settanta - il fatto che una donna potesse essere l'eroe).
Bene, in questi film la situazione è più equilibrata, uomo e donna si pareggiano. Tende a sparire il ruolo dell'appartenenza ad un sesso, per lasciare il posto ad una essenza che comprenda tutte e due.
Ho Meng-Hua ha fatto un film che va oltre le mie più rosee aspettative, ecco perchè sono particolarmente loquace. Un film a modo suo, nel suo genere, straordinario.
In un certo senso mi ricorda, visivamente, i western di Anthony Mann. Egli, a mio parere, sapeva sempre dove piazzare la cinepresa per valorizzare al meglio le situazioni. Non dico che lo stile sia lo stesso, ma in certi momenti le inquadrature mi hanno tolto il fiato allo stesso modo che nei film del grande western director - la ragazza che si arrampica sull'edificio per tagliare la bandiera con la scritta che attesta la supremazia di Black Demon e del suo clan, altre cose che descriverò in seguito. Unico neo, quel maniacale uso dello zoom veloce che, sebbene qui non abusato, toglie peso alle situazioni, "sbilanciandole" come una nota stonata. Penso a quel magnifico carrello che segue James Stewart in L'uomo di Laramie,
mentre si avvia a disarcionare il prepotente dal cavallo; e provo ad immaginarmelo, rovinato, da una improvvisa, brusca zoomata...
La trama è semplice ed efficace.
Nella città di Dungan arriva Cui Ping (Shih Szu), una ragazza abile nelle arti marziali. Da tre anni è in cerca della grande maestra conosciuta come Lady Hermit, che pare essere stata vista nella vicina città di Baijiang, e della quale aspira a diventare allieva. Giovane e inesperta, il suo scopo è quello di uccidere il cattivo Black Demon - che si proclama il maestro numero uno nel mondo delle arti marziali - per acquisire prestigio ed ottenere l'ammirazione delle persone. Diventa amica di Yushuang Leng (Cheng Pei-Pei), la servitrice della "compagnia di sicurezza" locale, e di Chang-chun (Lo Lieh), senza sospettare che proprio la donna sia la famosa maestra, che si sta nascondendo da tre anni in attesa di guarire da una ferita e poter porre fine alle cattive azioni di Black Demon. Il giorno seguente Cui Ping si reca a Baijiang in compagnia di Chang-chun, e scopre che sul posto stanno accadendo strane cose: alla notte, i fantasmi entrano nelle dimore di chi non ha attaccato alcun amuleto sulla porta, per ucciderne gli abitanti. Questi sono quindi costretti a procurarseli ad alto prezzo, al tempio Chung Kuei, diretto da una falsa Lady Hermit. In realtà, si tratta di una trappola per far uscire la maestra allo scoperto, ordita proprio da Black Demon. Cui Ping si apposta al calar delle tenebre, ed affronta i falsi fantasmi con le sue abilità marziali. Proprio quando sta per essere sopraffatta, una spada si frappone fra lei e le armi dei nemici: Lady Hermit entra spettacolarmente in scena, la salva e sconfigge il clan che opera in città. L'identità della maestra viene riconosciuta da Cui Ping e Chang-chun, che contano di incontrarla nel suo solito posto di servitrice. Questo è stato nel frattempo occupato da un'altra donna, mentre Lady Hermit si è messa in cammino per nascondersi nuovamente. Cui Ping la raggiunge e, dopo averla pregata di accettarla come allieva, vede esaudito il suo desiderio: si ritirano in mezzo alla foresta, restaurano un rifugio in rovina, per addestrarsi allo scontro decisivo con Black Demon. Fu proprio lui che anni prima ferì Lady Hermit, deridendola, dopo che gli aveva chiesto insegnamenti. Ma ora ha ideato una nuova mossa. Un triangolo amoroso che vede Chang-chun innamorato, ricambiato, di Yushuang Leng, Cui Ping innamorata di Chang-chun, aggiunge interesse alla storia.
Tre emissari di Black Demon e un complice uccidono Wang Chengen, l'uomo che ha tenuta nascosta Lady Hermit per tre anni, dopo che ha negato anche di conoscerla. Chang-chun sopravvive all'attacco e, ferito, raggiunge la donna, mentre l'allieva è sulle montagne alla ricerca della medicina per la maestra.
Alle lacrime di Cheng Pei-Pei, sconvolta alla notizia della violenta uccisione dell'uomo che l'ha aiutata a nascondersi e che non l'ha voluta tradire, fanno seguito le danze della festa che si godono i tre assassini.
Si odono i canti delle ragazze, una di esse guarda nello stagno e scopriamo con lei, come conclusione del suo morbido danzare, il riflesso sull'acqua, quietamente increspata, di Lady Hermit pronta a colpire. Trovo magistrale il passaggio dalla scena di festa alla dimensione di lotta.
Trovo anche una grande coerenza tra l'esibizione della violenza ed il momento in cui viene esibita. E' piuttosto cruda, e magistralmente girata, la scena in cui Lady Hermit elimina i tre assassini che hanno perpetrato il massacro. Dopo averli marchiati sul viso (variante del segno di Zorro) del suo simbolo, li avverte con una certa dose di sadismo:
Da te voglio la testa, da te un braccio, da te una gamba.
Sul terreno rotolano prima un braccio, poi una gamba, ed infine, come colpo più "pesante", la testa.
La violenza di questa scena è equilibrata dalla leggerezza con la quale i tre assassini si sono abbandonati alla festa dopo il massacro, e non fanno perdere un grammo alla statura eroica della maestra (chiara la necessità del compromesso: in realtà, non potrebbe essere una "maestra" una persona che si lascia coinvolgere dallo spirito di vendetta), sconvolta dal dolore, il quale fa perdere il gusto sadico alla scena per ricondurlo alla rabbia ed alla sofferenza estremi - molto ben espressi dall'attrice - che lo producono.
Dopo aver ucciso un quarto bandito, rinfodera la spada e, subito dopo, siamo al tramonto, davanti alla tomba di Wang Chengen.
Il triangolo amoroso conferisce enorme interesse alla storia, permettendo un approfondimento della psicologia dei personaggi.
Come reagirà Cui Ping, quando scoprirà che l'uomo che ama è innamorato, corrisposto, proprio della sua amata maestra? Come gestirà la situazione, quest'ultima? Si comporterà da vera maestra, o pretenderà che l'allieva - che all'ambizione quasi feroce di eliminare Black Demon unisce momenti di candida, commovente ingenuità - accetti il loro amore?
Ha ragione Ho Meng-Hua a dire che ha lasciato al personaggio di Cheng Pei-Pei una forte identità femminile, e in misura non minore - aggiungerei io - all'altra protagonista: oscillano continuamente tra uno stato mentale più maschile ed uno più femminile.
Perfino il personaggio maschile di Lo Lieh è spesso molto femminile e gentile, manca della durezza riservata marcatamente al villain unghiuto ed ai suoi sgherri.
Questo "tradimento" sentimentale è l'elemento che spinge Cui Ping, dapprima, ad una reazione silenziosa verso la maestra, che mangia la foglia intuendo i sentimenti della ragazza verso l'uomo, poi rabbiosa nei confronti dello stesso che dovrebbe allenare: nonostante egli sia in via di guarigione, lo colpisce con violenza. Fino a che si allontana a cavallo, con l'intenzione di essere lei a portare alla propria maestra la testa del villain, ed obbligando The Lady Hermit ad intervenire per salvarla un'altra volta.
La maestra tenta di fermarla.
- Non andare a farti ammazzare!
- Saresti contenta, se fossi uccisa!
- Sciocchezze! Bene, voglio vedere quanto sei brava. Avanti, combatti!Se vuoi andare, prima devi battermi.
La maestra la getta a terra, e lei implora:
Uccidimi! Uccidimi!
al che, Lady Hermit capisce la profondità del dolore dell'allieva, e per sfogare il proprio colpisce con la spada la tettoia del rifugio.
La ragazza approfitta del momento, salta sul cavallo e, sebbene impreparata, si dirige con coraggio verso il forte di Black Demon.
C'è una scena, ambientata su un alto ponte sopra un fiume, che mi ha tolto il fiato: per come è "immaginata", nel senso di "essere trasposta in immagini". Anthony Mann! Neanche per la battaglia - Cui Ping viene circondata, al centro del ponte, da entrambi i lati; i banditi ricorrono allo stratagemma di tagliare una delle estremità del ponte cui resta appesa, ma se la cava dopo una bellissima lotta - quanto per il semplice coraggio di aver tenuta la cinepresa fissa, a livello del terreno, mentre la ragazza raggiunge il centro del ponte traballante. Breathtaking!
Lo scontro che segue, in prossimità del forte del villain, mi entusiasma parimenti: tempi giusti, coreografie giuste, tutto giusto!, compresi gli attimi di smarrimento dell'eroina.
Si introduce nel forte - un vero Fort Apache cinese. Per prima cosa, dice a se stessa che deve tagliare la bandiera in cima alla pagoda a più piani.
Lasciamo stare la spettacolare ascesa alla cima, non basta l'inquadratura dell'alto, quando termina l'opera di abbattimento della bandiera? Si domina tutto il panorama sottostante, dal suo punto di vista.
Sarà effettistico, ma mi soddisfa.
Ed anche i dialoghi mi sembrano non scadere mai. Dal terreno, Black Demon parla a Cui Ping, in cima della pagoda; questa sembra aver dimenticato il rancore per la situazione sentimentale, per abbandonarsi alla fierezza di essere l'allieva di una simile maestra.
- Chi diavolo è Lady Hermit per te?
- La mia maestra.
- Perchè non è qua?
- Se fosse qua, saresti morto!
Vista dal basso, spada in mano, contro il cielo blu. Un quadro meraviglioso.
Non credo si possa rinunciare a dipingere quadri nei film di kung fu, sarebbe come coreografare una danza in cui le ballerine indossassero vestiti anonimi.
Black Demon la sfida personalmente, e la sconfigge. Ordina di ucciderla, ma Lady Hermit è là in cima alla staccionata, e salva di nuovo la vita all'allieva.
Lo scontro è.. Anthony Mann, ecco!, la maestra porta già sul viso i segni del temuto artiglio, la cinepresa filma alla grande, la sorte di Black Demon segnata.
La maestra si abbatte al suolo, stremata.
Pare che non a tutti sia stato gradito l'inserimento dell'elemento sentimentale nel film, eppure è proprio questo che conferisce maggior interesse alla storia, arricchendo di interrogativi lo svolgersi dell'azione.
Senza, il finale di questo capolavoro del genere, sarebbe stato più povero. Non ci sarebbe stato il messaggio che Lady Hermit scrive, a battaglia conclusa, su un pezzo della propria veste, col proprio sangue, che fissa al suolo con la propria spada, prima di abbandonare i due giovani al loro destino - rinunciando, da vera maestra, al proprio sentimento - e dopo averli spinti ad allontanarsi temporaneamente con un trucco:
"Buona sconfitta del male; la mia spada è un regalo di nozze"
Cui Ping ribadisce la propria fedeltà e devozione, gridando al vento:
Maestra, ti devo trovare; non importa quanto andrai lontana, io ti troverò!
Sulla regia di Ho Meng-Hua
Anthony Mann!
Sull'interpretazione di cheng Pei-Pei
Magistrale.
Sull'interpretazione di Shih Szu
Cheng Pei-Pei voleva fare un ultimo film perchè stava per sposarsi. Ma la consapevolezza d'aver scoperto un filone d'oro ci colse tutti e così pensammo che era un vero peccato non prepararle una sostituta.
E prendemmo Shih Szu, una ragazzina di Taiwan che Run Run Shaw aveva scoperto per caso e condotto con la mamma ad Hong Kong. Shih Szu non era neanche paragonabile a Pei-Pei, sia nel talento che nell'esperienza. Però si dava un mucchio da fare e così l'affiancai a Pei-Pei in "The Lady Hermit".
Le feci fare la parte della discepola ambiziosa, cattiva, tuttavia coraggiosa, che va ad affrontare il cattivo senza esserne all'altezza, inducendo Pei-Pei a salvarla. Se la cavò benino.
(opera citata)
Sulla colonna sonora
Efficace.
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