Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film
Pochi registi italiani negli ultimi vent’anni hanno saputo/potuto osare; per Gabriele Salvatores non è nemmeno la prima volta, ma così come per l’ormai dimenticato “Nirvana” (1997) anche in questa circostanza il voler uscire dal seminato non ha portato i frutti sperati.
Non è comunque tutto da buttare, ma c’è qualche rammarico di troppo.
Sud della Russia, in una città divenuta contenitore di varie etnie criminali, crescono Kolima (Arnas Fedaravicius) e Gagarin (Vilius Tumalavicius), con alle spalle un’educazione impartita da nonno Kuzja (John Malkovich) seguendo un codice etico molto rigido, quanto particolare che non concede sconti a nessuno.
I due crescono ed a vent’anni il modo di vedere le cose non può che essere diverso, anche per un vissuto che li ha a lungo separati, in mezzo a loro poi si inserisce la figura di una problematica e bellissima ragazza (Eleanor Tomlinson) che li porterà ad un duro e risolutivo confronto.
Pellicola ambiziosa che non riesce ad ergersi quanto vorrebbe nonostante si sia ragionato in grande, questo a partire dall’ambientazione e dalla scelta dei volti, che a parte due attori di peso quali sono John Malkovich e Peter Stormare, ha puntato su sconosciuti, dai lineamenti congrui alla situazione.
Tanti gli spunti, emergono ad esempio le ovvie diversità tra generazioni, il processo di crescita con strade che divergono prima forzatamente e poi per scelta, con il passato che diviene vera e propria terra straniera con violenza e sangue a macchiare i ricordi.
E sullo sfondo è sempre pronto ad ergersi, con le sue dure ed inattaccabili regole, un codide etico enunciato dal personaggio architrave interpretato da John Malkovich, facendo sfoggio di frasi forti che talvolta sembrano confezionate ed inserite con troppa precisione, ma in altre circostanze sanno anche colpire (“Un uomo non può possedere più di quello che il suo cuore può amare”).
Tutto inserito in un’epopea ed è qui che sta il vero limite di quest’opera; infatti se il respiro complessivo non manca, è ancor più vero che sembra materiale più consono a generare una lunga storia (ad esempio una serie televisiva, tanto più visto che vanno di moda) che ad essere racchiuso in poco più di novanta striminziti minuti.
Così, soprattutto nella seconda parte, più volte si ha la sensazione che l’evoluzione sia troppo veloce ed il culmine di ciò arriva quando è ora di chiudere, con un’epica che diviene più che altro maniera e che non riesce a ricalcare quanto di buono si era costruito con le premesse.
Gabriele Salvatores manca quindi nel climax, e non è affatto poco, poi fortunamente rimangono abbastanza forti le sensazioni d’insieme, quelle legate ad una cultura criminale ed a tutte le premesse già accennate con uno sguardo capace di vedere e descrivere delle vite immerse in una realtà lontana e spietata.
Suggestivo, ma incompiuto.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta