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Educazione siberiana

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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La recensione su Educazione siberiana

di alan smithee
6 stelle

Dal famoso omonimo romanzo d’esordio, tutto ma nello stesso tempo così poco “italiano”, del russo Nicolai Lilin, Gabriele Salvatores trae un film piuttosto fedele, girato bene e che denota uno sforzo produttivo piuttosto inconsueto per i canoni nazionali, forte di un respiro inevitabilmente internazionale quanto a cast, ambientazione, epica della vicenda. Le perplessità durante e dopo la visione di un film dignitoso e ben girato sono quelle medesime che mi colsero ai tempi in cui lessi il romanzo. Al di là del giusto riconoscimento che va attribuito al giovane autore anche solo per la proprietà con cui è riuscito a scrivere in una lingua non sua (la nostra) un romanzo di formazione o comunque almeno in parte molto autobiografico, i dubbi e le contraddizioni che ho avvertito nella lettura le trasferisco tali e quali sul film. Segno  anche della fedeltà e dell’acutezza con cui un regista non nuovo alla sperimentazione di nuovi generi (vedi il controverso ma pure sorprendente Nirvana, o anche solo l’anomalo e bizzarro Denti) ha saputo affrontare una trasposizione tutto sommato piuttosto impegnativa, anche solo per l’andirivieni temporale che caratterizza la pagina scritta e che il film in un certo senso rende ancora più esplicita, alternando le vicende d’infanzia del protagonista bambino a quelle odierne del soldato alla caccia di narcotrafficanti in una boscaglia ai confini della civiltà, e che intuiamo stia affrontando quel compito alla ricerca di qualcos’altro (o qualcun altro); ma pure alternate alle vicende umane del Kolima adolescente alla scoperta dell’amore, dei valori dell’amicizia, la sua eterna amicizia/rivalità col violento e bizzarro coetaneo Gagarin, le dure ma formative esperienze in prigione e le rapine di gruppo con i suoi irriducibili amici solo pochi anni prima rispetto alla vicenda più contemporanea: tutto ciò in un valzer rutilante gestito con una disinvoltura sin troppo spensierata, cadenzato qua e là dalle splendide immagini del grande fiume freddo, punteggiato di grandi agglomerati di ghiaccio che pian piano si dissolvono prima di giungere al mare.

Perplessità su una vicenda che è intrisa di troppo colore, con personaggi spesso forzatamente ed inesorabilmente sopra le righe, e non per colpa della trasposizione cinematografica, ma già sin troppo pennellati nella pagina scritta di un alone che li rende tendenzialmente un po' troppo spiritati per essere veri: primo fra tutti quella dello spietato ed integerrimo nonno Kuzja, efficacemente reso dalla maschera sinistra e malvagia di un John Malkovich sempre più mefistofelico; per non parlare del personaggio del sinistro tatuatore reso con il solito adeguato sadismo da un Peter Stormare al quale troppa ripetitività di ruoli "vilain" non giova granché alle sue indubbie qualità attoriali.

La sfida di Lilin (ma  anche gran parte del senso di irritazione che suscita in me la vicenda) è quella se non di voler quasi giustificare, almeno di sforzarsi di rendere plausibile od accettabile lo spietato codice comportamentale che sta alla base di quella a tutti gli effetti immorale “educazione siberiana”, impartita con tenacia e risolutezza di padre in figlio ai membri reietti di questa comunità di briganti confinata in una delle zone più inospitali del pianeta al fine di essere isolata e controllata. E’ proprio la contraddizione di regole spietate (l’uso della violenza anche più efferata giustificata nei confronti di categorie specifiche come poliziotti, banchieri, usurai) che si alternano a veri e propri atti di mutua carità (verso i portatori di handicap, verso i poveri e i reietti) ad irritare e a lasciare quel senso di indigesto in una vicenda sin troppo colorata e a volte macchiettistica che finisce per ridursi ad un vorticoso susseguirsi di azioni di contrabbando e rapina.

Una società sempre più chiusa in sé stessa, isolata in un confino di cui in fondo si pregia e da cui trae più vantaggi che inconvenienti, e che ha l’ambizione di rifuggire facili soluzioni e piaceri effimeri come droghe e vizi, che non tollera la presenza di denaro contante in casa, ma che piuttosto di accaparrarselo è disposta a ricorrere ad azioni vandaliche organizzate dagli esiti spesso sanguinosi e letali; ma  pure  l’ardire di porsi come beneficiaria e rivendicare come un suo diritto, tutta una politica di soprusi e attentati violenti ai danni di quella civiltà tanto osteggiata ma che loro stessi vampirizzano e sfruttano come i peggiori e più inesorabili parassiti.

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