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Sick Nurses

Regia di Thospol Siriwiwat, Piraphan Laoyont vedi scheda film

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FABIO1971

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sick Nurses

di FABIO1971
6 stelle

Accadono strane cose nell’improbabile e inquietante ospedale Apayatam: tanto per iniziare, sembra che non ci siano pazienti, né medici, né personale, al di fuori del dottor Tar (Vichaya Jarujinda), chirurgo affermatissimo (sarà premiato come “medico dell’anno”), e della sua équipe di infermiere. E che infermiere! Giovani, sexy, frivole e disinibite, trascorrono le giornate flirtando con lui o dedicandosi alla cura maniacale del proprio corpo tra una civetteria e l'altra: peccato che Tar sia gay e che non ami nessuna di loro, pur non riuscendo a resistere al loro fascino. Facile, quindi, che il medico finisca col mettersi nei guai: a Tawhan (Chol Wachananont), ad esempio, fa credere di volerla sposare, ma poi la tradisce con Nook (Chidjun Rujiphan), la sua sfrontata sorellina, che non tarda a rimanere incinta. E c’è anche un altro problema: Tar, infatti, pratica segretamente il commercio illegale degli organi, potendo contare, tra l’altro, sulla complicità delle sue infermiere. Quando, però, la sua “promessa sposa” Tawhan scopre la tresca con Nook, il rischio che possa denunciare i loschi traffici del dottore è enorme. Basterebbe toglierla di mezzo, immagina Tar, per non correre il pericolo di essere scoperto, e perciò, sempre con l’aiuto delle sue fedelissime infermiere, la uccide: errore imperdonabile. Hanno dimenticato, infatti, che, secondo le superstizioni locali, “entro sette giorni dalla morte lo spirito ritornerà da coloro che ha amato”: il fantasma di Tawhan, perciò, proprio in prossimità della mezzanotte del settimo giorno, inizia a perseguitarli aggirandosi nei corridoi e nelle stanze dell’ospedale per vendicarsi dei suoi carnefici. Atroce bagno di sangue e colpo di scena finale.
Proposto anche in Italia in occasione dell’edizione 2008 del Far East Film Festival, Sick Nurses, dei thailandesi Thospol Sirivivat (alla sua seconda regia dopo il precedente Suicide Me) e Piraphan Laoyont (all’esordio dietro la macchina da presa: dirigerà, poi, la seconda unità per Bangkok Dangerous), autori anche della sceneggiatura insieme a Chanop Sirikamolmas e a Buddhiporn Boossabarati, è un riuscito, delirante e scatenatissimo slasher movie, magistralmente orchestrato sul doppio registro della classica ghost story della tradizione orientale e il gore più sfrenato e selvaggio (tanto da attirarsi subito le ire della censura thailandese), oltre che contemporaneamente percorso da una sgangherata e irresistibile vena parodistica e demenziale, prontamente ricondotta nei ranghi quando gli umori più raccapriccianti della vicenda tornano a esaltarsi in una sanguinaria orgia di orrori e nefandezze. Formalmente sempre suggestivo e spettacolare, Sick Nurses acquista ancora maggior forza e spessore grazie agli artifici dello script e alle scelte della messinscena: da un'indiavolata macchina da presa a spalla al frequente rincorso al grandangolo, dalla fotografia di Chitti Urnorakankij, estremisticamente esasperata fino alla completa saturazione dei colori, all'efficacia grandguignolesca degli effetti speciali, dalla frammentazione temporale del racconto (suggerita dalle inquadrature in primo piano di un orologio appeso al muro dell’ospedale), lanciato in un continuo andirivieni tra passato e presente e scandito dalle continue ellissi del montaggio, alle punizioni-contrappasso con cui il fantasma si vendica delle sue carnefici (ogni punizione, infatti, viene scelta sulla base dei vizi delle ragazze) e al gioco citazionistico (dal bozzolo di capelli all’orda inarrestabile di infermiere-zombi sulle scale dell’ospedale, passando per Gozu di Takashi Miike e tanto altro ancora). Non tutto fila liscio, però, perchè il gusto per l'eccesso finisce a tratti per superare la soglia di guardia che lo separa dal ridicolo (una macchina da presa dall'obiettivo troppo "guardone", sempre puntato verso le morbide grazie e le scollature delle sensuali infermiere, oppure piazzata in improbabili posizioni, tipo all’interno di un secchio che rotola), l'interpretazione degli attori, nonostante la verve e l'entusiasmo, è assolutamente sopra le righe e l'approfondimento psicologico dei personaggi è ridotto ai minimi termini, ma quando il film scioglie le briglie dello splatter, la dissacrazione e la goliardia fanciullesca si trasformano in impietose rasoiate alla giugulare, ettolitri di sangue e urla di terrore: indimenticabili il delirio ultra-gore della sequenza nella stanza con i feti, l’infermiera con la testa in una valigia cucita sul suo collo, il telefono cellulare infilato sotto la pelle del viso, un memorabile pasto a base di lamette e il mostruoso parto finale.
“Tutto si ripete… Senza fine… Bello, vero?”.

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