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Padroni di casa

Regia di Edoardo Gabbriellini vedi scheda film

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La recensione su Padroni di casa

di LorCio
6 stelle

I lupi, poracci, sono storicamente gli animali pericolosi che sarebbe bene evitare. Con l’uccisione proprio di un lupo si apre Padroni di casa, opera seconda di Edoardo Gabbriellini, che ricordiamo indimenticato protagonista di Ovosodo. I padroni di casa sono gli abitanti di un borgo dell’Appennino toscano immerso in un parco nazionale, sono coloro che guardano con sospetto l’arrivo di due corpi estranei (due fratelli romani operai) che potrebbero sovvertire, anche soltanto con la presenza, si coprono le malefatte a vicenda ed invidiano (ma proteggono) la gloria locale.

 

Ottanta minuti secchi che non lasciano spazio alla speranza, è il film italiano di un certo respiro ed impegno produttivo (possibili cause del fallimento commerciale: poche copie, inflazione dei pur ottimi ma sovraesposti Elio Germano e Valerio Mastandrea, genere ibrido) più nero ed inquietante delle ultime stagioni, sebbene non perfettamente riuscito. Nel contesto strapaesano di una sotto-provincia più chiusa che bigotta, i probabili riferimenti di Gabbriellini (che in sede di sceneggiatura si è fatto assistere da Francesco Cenni, Michele Pellegrini e Mastandrea) si ricollegano a suggestioni più americane che nostrane (con quella poetica del sangue tra il pulp e il noir) e le fragilità si riscontrano proprio nella mancanza di equilibrio tra i passaggi da commedia all’italiana di ogni ordine e grado (Mastandrea al ping pong e al bar) e le atmosfere crude ed irrequiete.

 

È una caccia allo straniero più per ideologia paesana che per motivi più concreti (l’invasione del territorio e i legami con i membri del paese non possono essere concessi agli estranei, che si candidano immediatamente ad essere capri espiatori di qualunque azione infausta), inclassificabile nelle categorie ufficiali dei generi e meritevole di un approfondimento e di un’attenzione che vadano al di là degli effettivi valori della pellicola (per esempio, personalmente trovo l’ultima parte un po’ frettolosa e più ellittica che misteriosa). L’apporto di Gianni Morandi (perfetto il cavallo di battaglia degli anni sessanta, quasi un leitmotiv perverso, e splendida esecuzione della dolcissima Amor mio di Cesare Cremonini) conferisce al film il giusto terrore del vecchio ragazzo incattivito, ma Valeria Bruni Tedeschi infila uno dei suoi migliori ruoli italiani da anni.

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