Regia di Edoardo Gabbriellini vedi scheda film
“Ma io pensavo che poi lui nel finale chiamasse degli altri muratori per finire il terrazzo”!
“...ma perchè corre tanto?...per andare dove?”.
“...ma il lupo che fine ha fatto?”.
“ ...ma io pensavo...”, “...ma perchè?...” queste alcune delle molte frasi che ci siamo scambiati all'uscita dal cinema con i miei amici. “Padroni di casa” è un film dalle aspettative alte, vuoi per il cast, vuoi per la scelta della trama, mi aveva incuriosito molto, e aspettavo di vederlo... tutto questo per spiegare anche la delusione che ne è conseguita alla fine.
La trama è quella classica di un genere giallo che tanto mi piace: due fratelli romani vanno in un paesino della montagna dell'appennino toscoemiliano, per lavorare come piastrellisti (mmmh già qui la cosa mi è sembrata strana: un emiliano che si rivolge a dei romani per un lavoro di piastrelle è poco credibile, anche i sassi sanno che l'emilia è la patria della piastrella) a casa di un noto cantante italiano non più in auge. Subito i due fratelli forestieri sono mal visti dalla gente del posto, che non si mostra molto accogliente. Fausto Mieli (Gianni Morandi), il cantante, è sposato con Moira (Valeria Bruni Tedeschi), paralizzata su una sedia a rotelle, il loro rapporto è chiaramente compromesso, non si capisce bene perché.
E' proprio questo “e non si capisce bene perché”, che troppe volte ci si chiede durante le varie fasi del film, man mano che la trama prende corpo, a lasciare perplessi. Molte idee sviluppate poco, molta “carne messa sul fuoco e lasciata bruciare”, personaggi inseriti senza spiegarne bene la psicologia o quel tanto di storia necessaria per capirne il loro ruolo nella trama.
Perché la moglie di Mieli è paralizzata? Perché il loro rapporto è così deteriorato? Perché lui è così ambiguo?... La figura del cattivo, è intrigante solo per la scelta di Morandi, che poteva risultare azzeccata proprio per il suo ruolo storico nella cultura italiana: la classica faccia da brava persona che in verità nasconde un terribile segreto, ma questo segreto non solo non viene svelato, ma nemmeno abbozzato con qualche indizio, tutto rimane nel limbo.
I due fratelli piastrellisti sono quelli che innescano, o dovrebbero farlo, la follia della gente del luogo. Abbiamo già visto certi meccanismi in film guida per certi generi, tipo “Non aprite quella porta”-1974- o “Un tranquillo weekend di paura” -1972- dove “giovani amici scanzonati scatenato le ire e la follia di abitanti di periferie isolate”, ma qui davvero il fattore scatenante non ha nulla di violento, o di crudele o di folle, e chi doveva essere il “cattivo” (Fausto Mieli) della storia rimane confinato in una parte di nicchia che non suscita nessun tipo di reazione, né di rabbia, né di sdegno... lascia con molti “perché”. Gli abitanti del paese risultano alienati come lo possono essere anche molti cittadini che si ritrovano nei bar di quartiere, non si percepisce quel malsano senso di chiuso e claustrofobico sentimento di appartenenza di una comunità isolata. I due protagonisti Cosimo (Valerio Mastrandrea) ed Elia (Elio Giordano) sono bravi ad interpretare i forestieri che non si trovano a proprio agio nel nuovo posto di lavoro, ma i personaggi non sono costruiti molto bene, rimangono abbozzati nei pochi atteggiamenti che i bravi attori riescono a dargli.
La ricostruzione dei luoghi, soprattutto il bar con la stazione di servizio (tipica dei film alla “Non aprite quella porta”) sono ben fatte, con attenzione, che non è la solita che il regista pare abbia dedicato alla costruzione della trama e dei personaggi. Buone anche le scene girate nei boschi, si vede che Gabbriellini ci ha investito molto in questo film, si percepisce che ci abbia creduto davvero, purtroppo il risultato, a parer mio, non ha ripagato. Finale davvero deludente, lascia senza emozione, senza risposte, con molte domande... alle quali all'uscita dal film è divertente rispondere tra amici, trovando finali alternativi e più divertenti.
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