Regia di Sidney Poitier vedi scheda film
Western picaresco, che segna l'esordio da regista del divo hollywoodiano di colore Sydney Poitier e che ricorda da vicino un romanzo come Il paese di Dio di Percival Everett. Al fianco del regista/protagonista recita un altro divo di colore, come Harry Belafonte (anche nelle vesti di produttore del film), assai bravo a tratteggiare la figura di un falso predicatore pronto alla redenzione.
Il tema e il tono generale del film non sono lontani da quelli di un'opera più o meno coeva, quale L'ultimo tramonto sulla terra dei McMaster (1970) di Alf Kjellin, sia per la denuncia del razzismo insito nella società americana (i neri non devono alzare la testa perché, sebbene liberati, sono soltanto forza lavoro) sia per una soluzione che accomuna in un unico destino e in una possibilità di riscatto gli afroamericani e i nativi, nonostante la reciproca diffidenza (nel romanzo di Thomas Berger Piccolo grande uomo si legge che gli indiani chiamavano gli schiavi di colore "i visi pallidi neri"). Nel film di Poitier, rispetto a quello diretto da Kjellin, si cerca di alleggerire l'atmosfera, proprio grazie al personaggio di Belafonte, ma la conclusione, seppur dipinta con colori di speranza, è pur sempre che il posto riservato a neri e indiani sia tra le rocce di qualche riserva, dove non siano in grado di disturbare le strade, le ferrovie e le città dei bianchi.
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