Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Non è necessaria una laura in lingue per comprendere che “reality” sta per “realtà”. È un po’ meno evidente invece comprendere che, a differenza di quanto si dica, la realtà non è unica. Esiste la realtà millantata dagli show televisivi, quella della povertà quotidiana, ma anche quella travisata da Luciano, pescivendolo napoletano che finirà per commistionarle tutte insieme, in un cortocircuito tra (triste) realtà partenopea (fatta di matrimoni pacchiani, truffe a multinazionali degli elettrodomestici e continua ricerca di riscatto) e realtà percepita, quella del Grande Fratello e di tutti i reality show che fanno passare per reali delle (in)esistenze costruite. Quando Luciano esce dai gangheri, inseguendo il sogno effimero per antonomasia degli anni 2000, si ritorna un po’ tutti coi piedi per terra e la crudezza del reale è troppo forte per continuare ad inseguire delle illusioni. Tranne che per lui, che rimane intrappolato in quella fervida e disperata convinzione, ben rappresentata dal finale onirico, anch’esso sospeso tra realtà e finzione…
Dietro la macchina da presa c’è quel Matteo Garrone che ha sempre avuto a cuore la realtà napoletana (ed è forse l’unica ragione per cui si scelga la capitale partenopea, piuttosto che quella meneghina o romana, per ambientare la storia narrata in “Reality”), ma Garrone è soprattutto il regista di “Gomorra”, che la quotidianità della classe meno abbiente, giocoforza spesso intrecciata con i giri meno limpidi e le evidenze più losche, l’ha studiata bene, non certo a partire dall’omonimo libro di Roberto Saviano, ma avendo già dimostrato sensibilità a tali argomenti, per esempio, col piccolo gioiello del 2002 “L’imbalsamatore”.
Meritevole di menzione il cast: Luciano ha il volto di Aniello Arena, la moglie Maria è interpretata da Loredana Simioli, attori semisconosciuti, eccezioni alla regola che afferma il dogma secondo cui pescare dalla TV (locale napoletana nella fattispecie) significa necessariamente affidarsi ad attori di serie B. Le performance dei protagonisti, ma anche quella di Raffaele Ferrante (volto noto del cabaret) sono decisamente credibili, quasi da docu-fiction, valore aggiunto ad un film che fa piangere e ridere insieme; una tragicommedia tuttavia sbilanciata verso il tragico, con quella punta di avversione nei riguardi dell’argomento trattato, che gli autori (Garrone, insieme al fido Massimo Gaudioso) non riescono tutto sommato a soffocare.
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