Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
«Reality» è un termine inglese che ormai è entrato a pieno titolo nel parlato di noi italiani, se non che ha ormai cambiato totalmente di significato, fino ad assumerne uno opposto a quello originario. Oramai la parola indica un tipo di spettacolo che mostra gruppi di persone rinchiuse o circoscritte in ambienti avulsi dal contesto originario - isole deserte, ville in campagna simili a falansteri - e quindi lontanissime dalla realtà.
Va peraltro riconosciuto che il reality è un genere di spettacolo che fin da subito rende chiunque protagonista e soprattutto coloro che "in tempi normali" mai avrebbero potuto aspirare ad apparire in televisione. Con il reality, l'uomo comune si trova davanti una poderosa macchina spettacolare, con una troupe che lo mette di fronte ad una telecamera, che gli consente di dire e fare quello in cui nella vita di tutti i giorni si sente bravo e non riconosciuto.
In questo senso, la vicenda di Luciano è esemplare, ma il film di Garrone, assai meno dirompente, per contenuto e forma, di Gomorra, ha il difetto principale di sfondare porte aperte, quanto meno nelle case di chi guarda al fenomeno dei reality senza puzza sotto il naso, ma con un certo qual salutare distacco. Per questo, mi è venuto spontaneo pensare che per il messaggio sarebbero bastati i primi fantasmagorici venti minuti, aperti da quel cocchio trainato da cavalli bianchi e chiuso dal ritorno a casa della famiglia allargata di Luciano, con quelle donne che faticosamente tolgono i loro corpi obesi dai vestiti zeppi di lustrini e strass, circondate da pareti "sgarrupate" e grondanti muffa.
Ma Garrone è un regista e quello che gli interessa soprattutto è raccontare delle storie su pellicola. Per questo ci conduce per mano ad accompagnare la lenta discesa agli inferi della mania da reality, quella che fa perdere ogni contatto con la realtà vera, per le strade e le piazzette di questa Napoli che profuma realtà, anche grazie ai volti di un protagonista sconosciuto al cinema e noto soprattutto alle patrie galere, lo straordinariamente espressivo Aniello Arena, e di una serie di comprimari - tra i quali spiccano Loredana Simioli (Maria, la moglie) e Nando Paone (l'amico e socio Michele) - che più bravi e funzionali sarebbe stato impossibile trovare.
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