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Reality

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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La recensione su Reality

di mm40
6 stelle

Reality è, almeno fino al 2012, il capolavoro di Matteo Garrone. Un film nel quale l'Italia odierna viene rappresentata esattamente per ciò che è (l'unico altro lavoro che fino a questo punto ci era riuscito, La nostra vita di Daniele Luchetti), con la 'crisi' - economica, lavorativa, politica, morale e perfino sentimentale - come milieu, come sottofondo fisiologico dato per scontato quanto il cielo azzurro partenopeo. Con la miseria diffusa, con l’idiozia catodica imperante, con i sogni da quattro soldi di un’epoca in cui oltre allo sfascio, alla legge di chi urla più forte e all’ostentazione del superfluo, impera il cospirazionismo. Luciano, il bravissimo esordiente Aniello Arena, è il ritratto dell’italiano medio di questi anni: fondamentalmente una vittima, un uomo psicologicamente instabile e facile alla fascinazione estemporanea, capace di gesti apparentemente assurdi e autolesionisti (molti suoi connazionali nel frattempo finiscono suicidi sui giornali), proiettato – per farla breve – in una realtà che nulla più ha di reale. È un reality, infatti, l’Italia del 2012: le paranoie di Luciano sono tali solamente in superficie, poichè dietro alla patina di instabilità nevrotica del personaggio risiede un sentimento comune nazionale di perpetua incertezza, di irremovibile precarietà (altra parola in voga) e soprattutto di perenne ‘attesa di giudizio’, citando una pellicola di Nanni Loy del 1971 dalle analoghe atmosfere kafkiane. Ma qui – si badi bene alle sostanziali differenze dall’Italia di quarant’anni prima - Luciano non è affatto detenuto: bensì vorrebbe esserlo, il suo unico sogno è quello di una quanto più duratura possibile schiavitù: fra le mura di Cinecittà, ma soprattutto schiavitù delle telecamere e della fama. Ed ecco quindi che glorioso approda a quel finale-non-finale che Garrone (nella sceneggiatura scritta insieme a Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e Maurizio Braucci) predispone magistralmente. Luciano è un fantasma, è una proiezione fantastica, è un morto. Forse è tutte e tre le cose. Giustamente premiato a Cannes (Gran premio della giuria), Reality gode di una meravigliosa fotografia – del prematuramente scomparso Marco Onorato, sodale del regista fin dai suoi esordi – e di un cast di interpreti semisconosciuti ma dalle facce giuste e benissimo diretti. Uniche eccezioni sono una comparsata di Claudia Gerini e Nando Paone. Il difetto principale dell’opera sta paradossalmente nella bravura di Garrone, nell’eccesso di confidenza fra lui e la macchina da presa: già la prima sequenza, essenzialmente inutile a livello narrativo, è innegabilmente un gran bel pezzo di cinema che in cinque minuti cinque però non offre una parola o un commento utili per lo spettatore. Il rischio che si corre in questo modo (e in Reality succede qua e là) è di sconfinare nella sterile dimostrazione di grandi capacità, non asservite però alla narrazione ma fini a sè stesse. 7,5/10.

Sulla trama

Napoli. Il pescivendolo Luciano, sposato e con figli, per tirare avanti arrotonda con piccole truffe. Finchè un giorno gli si para davanti l'occasione della vita: un provino per il reality Grande fratello.

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