Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
La casa del Grande Fratello è il mondo. È il palcoscenico della nostra voglia di sollevarci dalla normalità per divenire straordinari, non più anonime vittime dei soliti, comuni problemi quotidiani. Sentirsi osservati da vicino, chiamati a esibire la propria capacità di piacere, è un’emozione che ci sospende dalla realtà per proiettarci nella dimensione fantastica di uno spettacolo senza fine, in cui ciò che conta è essere amati per quello che si fa davanti agli occhi di tutti. Luciano, nel momento in cui si lascia prendere dall’illusione di poter partecipare al mitico GF, smette di esistere per se stesso, per il proprio lavoro e la propria famiglia, ed inizia ad interpretare una parte immaginaria, con un copione che lui stesso si deve inventare, ed il cui unico senso è dare al pubblico ciò che da lui si aspetta. Il provino, a cui l’uomo si sottopone per caso, finisce per protrarsi nel tempo, anche fuori dalle porte di Cinecittà, seguendolo nelle strade del suo quartiere, nel suo negozio di pesci, in ogni luogo che egli si trova ad attraversare: ovunque si vede circondato da presunte spie, inviate dai direttori del casting per verificare la sua idoneità come concorrente della popolare trasmissione. Il terrore di essere colto in fallo si trasforma ben presto nell’ebbrezza di sapersi protagonista di una sfida, nella quale egli detiene il potere, magico e istrionico, di conquistare il consenso di chi assiste. Alla vita si sostituisce allora un gioco di finzione, nel quale ciò che conta è risultare interessante e convincente, splendidamente docile come una carismatica marionetta nelle mani dello show business. Lo sforzo di apparire, per Luciano, non è un semplice vezzo narcisistico: in lui si manifesta come un serio impegno a svolgere per bene il suo compito di attore-affabulatore, soddisfacendo le aspettative di chi su di lui ha investito tempo ed energie. La sua ossessione maniacale vive, dentro di lui, come una speranza da coltivare perseverando nella sua impresa: resistere fino in fondo alla costante presenza dei riflettori, che colgono ogni sua mossa, e che lui cerca di impressionare per poter essere promosso. Per riuscire, deve tener duro, e dimostrare di saperci fare: nella sua ambizione televisiva si rivela, paradossalmente, una profonda coscienziosità, radicata nei solidi principi morali di chi si guadagna da vivere con un onesto lavoro, e sa che nulla gli verrà mai regalato. Non c’è traccia di frivolezza, in quel padre di famiglia che punta alla fama per garantire il benessere alla moglie e ai figli, e che è disposto a qualunque sacrificio pur di realizzare la sua nobile aspirazione. Il suo errore è ritenere che i meccanismi della televisione funzionino secondo la stessa etica, improntata alla giustizia e alla generosità. Luciano crede che il sistema abbia a cuore i più meritevoli, riservando loro la dovuta attenzione. Non può concepire che le primitive leggi del mercato possano ignorare il suo valore, trascurando completamente il fatto che, durante l’intervista di selezione, è stato tanto bravo, preciso e sincero nel rispondere alle domande. Luciano soffre, nel veder sfumare il suo sogno, a cui si è dedicato anima e corpo: ciò non accadrebbe se egli fosse, semplicemente, uno dei tanti schiavi dell’immagine, tanto superficiali nell’inseguire i desideri, quanto sbrigativi nel dimenticarli. Quell’omino semplice e indifeso si lascia prendere dal complesso del primo della classe, credendo che anche la fortuna, apprezzandolo, abbia voluto finalmente rivolgergli uno sguardo benevolo, concedendogli la grande occasione della sua vita. È l’ingenuità a darci in pasto alla follia. Matteo Garrone presenta in maniera magistrale il processo che porta Luciano ad alienarsi dal suo ambiente sociale, professionale ed affettivo, per raccogliere quello che egli considera un invito a crescere, a osare, a superare i propri limiti per poter finalmente diventare qualcuno. Il piccolo schermo, che riduce l’immagine del mondo alle proporzioni di un oggetto personale, è un pericoloso istigatore al delirio di onnipotenza. La tv ci viene a trovare nella nostra intimità, e quando si parla si rivolge proprio a noi, guardandoci dritto in faccia. Luciano cade facilmente nella trappola. Non si rende conto di essere invisibile: quel vetro, che sembra perfettamente trasparente, è tale soltanto per chi sta al di qua. Lo “specchio segreto” funge da obiettivo in una sola direzione. Chi può guardare, non può a sua volta essere guardato. La televisione è una dea maliarda, che ci seduce senza amarci. Ci circuisce con abili lusinghe, e però – crudele com’è – non ricambia mai le nostre insistenti occhiate di devota ammirazione.
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