Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Ossessioni catodiche autoindotte, paranoie, manie di persecuzione. Veri e propri sintomi di un disturbo psichico che porteranno Luciano, pescivendolo di Napoli, sull’orlo della follia. Una malattia moderna, un virus da nuovo millennio, l’infezione arriva attraverso la televisione, si espande nelle menti dei telespettatori, si manifesta nella loro vita reale. Il fenomeno del Grande Fratello, apparentemente innocuo, ha trovato nella mentalità di molti italiani, mediocre e assopita, un luogo ideale per svilupparsi e generare mostri. Le file per i provini, il sogno di diventare famosi, la riconoscibilità. Il successo. La fama. In un mondo governato dalla televisione, alcuni hanno finito per applicare la sua estetica e le sue regole alla vita reale. Ed è’ quello che succede a Luciano, che dopo aver partecipato, spinto dai figli, ad un provino del Grande Fratello e dopo essere stato chiamato a Roma per farne un altro, rimane intrappolato in un personale trip, in cui la sua casa, la pescheria, i vicoli della sua città diventano i luoghi del suo immaginario reality. Garrone incolla la macchina da presa al volto di Luciano per mostrarne il crescente distacco da quello che lo circonda, immerge Napoli in una atmosfera magica e fiabesca, complici anche le musiche di Alexandre Desplat e il dialetto napoletano con la sua dolce melodia, adotta un linguaggio cinematografico molto articolato fatto di piani sequenza, panoramiche, primi piani strettissimi, macchina a mano, proprio per allontanarsi il più possibile da quell’altro linguaggio, televisivo, che ha finito per imporsi anche nel cinema, emblematica la sequenza in cui Garrone riprende la fila per i provini del Grande Fratello a Roma e poi con una dolly mostra la scritta “Cinecittà”, quasi un epitaffio della morte del nostro cinema.
Luciano è un personaggio puro, semplice, che guarda con occhi da bambino le meraviglie della televisione e per questo ancora più crudele è quello che subisce, ancora più drammatica è la sua lenta trasformazione, anche se immersa in un contesto grottesco e allo stesso tempo squallidamente reale, come se la televisione, in maniera subdola e infima, entrasse nell’immaginario (spesso infantile) dei telespettatori e lo nutrisse con le sue misere illusioni.
E questo immaginario, alla fine, è diventato la realtà, ce l’abbiamo intorno, ignorante e mediocre, si è trasformato in politica, con la sua arroganza, una voce suadente che continua a corrompere, un sorriso idiota che si moltiplica sui volti di chi ci circonda.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta